#BlogEllePì – Beni relazionali e sviluppo rurale: come l’agricoltura può produrre valore per tutti
I beni relazionali sono un presupposto indispensabile della sostenibilità integrale, la quale come spiega il presidente Gabrielli “richiede un nuovo sguardo sul mondo e sull’economia; soprattutto uno sguardo nuovo rispetto al “posto” che l’impresa ha nella società. Il tradizionale impianto strategico ed operativo dell’organizzazione va così ripensato e rigenerato. Per farlo serve una mentalità nuova. Occorre un nuovo mindset per attivare, guidare, implementare la trasformazione radicale richiesta e accompagnare la transizione”. In questo senso, i beni relazionali sono fondamentali per garantire una ripresa sostenibile, integrale e generativa del nostro Paese: sono in grado di allargare il perimetro dell’economia e qualificarlo grazie al loro potere coesivo ed inclusivo. Abbiamo chiesto a Francesca Varia (ricercatrice del CREA – Centro di Ricerca Politiche e Bioeconomia che ha recentemente partecipato al webinar Beni relazionali e sostenibilità: un legame da rendere evidente) che genere di contributo può offrire una politica di sviluppo rurale in termini di sostegno al tessuto sociale del territorio. Insomma, abbiamo chiesto: in che modo agricoltura e comunità possono incontrarsi?
«Per rispondere a questa domanda lasciatemi prima fare un esempio. In natura sappiamo che alcune specie di insetti cosiddetti “sociali”, come le formiche e le api, sono dotati di particolari strutture anatomiche che consentono ad alcuni loro membri di condividere il cibo con il resto della colonia. La trofallassi degli insetti sociali non è solo un mero scambio di cibo ma è anche un sistema di comunicazione, di socialità e di immunizzazione, visto che insieme al cibo passano da un individuo all’altro anche sostanze chimiche capaci di influenzare la salute e persino il ruolo sociale degli altri esseri appartenenti alla colonia. Lo sviluppo rurale travalica la dimensione produttivistica e dunque economica dell’agricoltura, inglobando in sé obiettivi quali la tutela, la rigenerazione e la resilienza di tutto il mondo legato alla campagna e alle comunità rurali, con il loro patrimonio di beni materiali e immateriali. La politica di sviluppo rurale sin dai primi anni ‘2000, ovvero da quando fu varato il primo grande pacchetto di riforme delle politiche europee, noto come “Agenda 2000”, ha subito grandi cambiamenti, diventando sempre più “verde” e attenta a uno sviluppo armonico del territorio. Di fronte all’acuirsi dei problemi ambientali, economici e sociali si è cercato con le risorse finanziarie provenienti dal bilancio europeo attraverso i fondi della Politica Agricola Comune (PAC) di non lasciare indietro nessuna delle categorie più rappresentative di questo mondo, in primis gli agricoltori e, in subordine, i consumatori. A mio avviso la politica di sviluppo rurale è stata di accompagnamento e di sostegno all’iniziativa di tanti pionieri che per primi hanno sperimentato nuovi percorsi di crescita umana e sociale. Dico in primo luogo “umana” perché coltivare la terra, accettarne i rischi, imparare ad attendere i tempi di germogliamento di un seme o di maturazione del legno di un bosco, preservare la qualità dei prodotti, e riuscire a valorizzarli sul mercato, è innanzitutto un progetto di vita, che parte dal sé e diventa impresa. La politica di sviluppo rurale sostiene questi progetti sia nella fase di start-up (con particolare riguardo ai giovani che non hanno ancora compiuto 40 anni) che di ristrutturazione/modernizzazione e infrastrutturazione, promuovendo la formazione e la consulenza, lo sviluppo e la diversificazione sia delle stesse attività agricole che di quelle cosiddette “extra agricole” (es. trasformazione di prodotti da agricoli in non agricoli, produzione di energia da fonti rinnovabili, turismo, agricoltura sociale a favore di persone fragili, ecc.).
Poi è anche un progetto con “gli altri” – basti pensare a quanta occupazione è generata da operazioni come la raccolta e la trasformazione dei prodotti, la cura degli animali, l’accoglienza degli ospiti e così via, e ancora a quanta bellezza è in grado di generare l’azione umana collettiva se è vero che il paesaggio agrario è “quell’attività che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale” (Sereni 1961). La Politica di sviluppo rurale sovvenziona progetti di cooperazione tra produttori (ad esempio i progetti di filiera), tra settori economici (ad esempio i progetti dei cosiddetti “Gruppi Operativi del Partenariato Europeo dell’innovazione”), tra soggetti pubblici e privati (ad esempio i progetti concepiti sulla base delle esigenze delle popolazioni locali nelle Strategie di sviluppo locale LEADER e nelle Strategie per le Aree Interne).
Infine è un progetto “per gli altri”, per tutti e per ciascuno: nel mondo rurale, infatti, l’interesse del singolo è sempre stato in stretta connessione con l’interesse del tessuto sociale del territorio, non soltanto della comunità locale. Al centro di questo discorso vi sono concetti come l’uso e la distribuzione delle risorse. Parliamo di cibo, un argomento che appassiona molto noi italiani visto che, primi nell’Unione Europea, vantiamo 316 prodotti alimentari registrati con marchio di Denominazione di Origine Protetta (DOP)/Indicazione Geografica protetta (IGP) e 4 come Specialità tradizionali garantite (STG[1]), nonché 5.450 prodotti agroalimentari tradizionali, espressioni del patrimonio culturale del Paese. La pandemia ci ha mostrato chiaramente che la sopravvivenza nelle città è strettamente legata alle funzioni di produzione e di distribuzione dalle campagne alle città. La politica di sviluppo rurale sostiene la filiera corta e la vendita diretta, ossia la connessione diretta produttore-consumatore, in altri termini l’incontro tra persone, senza altri canali di vendita intermediari (es. presso l’azienda, un punto vendita collettivo, una fiera, un gruppo di acquisto solidale o il semplice domicilio dell’acquirente), che è una modalità win-win non soltanto in termini di profitto e risparmio per le due parti, ma anche di mantenimento della ricchezza nel territorio (studi nel Regno Unito hanno mostrato che, a parità di spesa, l’acquisto in negozi locali trattiene il 40% di reddito all’interno delle comunità) ed ancora: di salvaguardia, conservazione e miglioramento della biodiversità agricola, di riduzione delle emissioni di carbonio grazie a un consumo di prossimità, di consapevolezza da parte del consumatore in merito al valore del prodotto che si sta comprando, del territorio di origine e di chi lo produce (es. il sistema del Teikei = dare al cibo il volto dell’agricoltore), dunque in termini di relazioni reciproche di lealtà e fiducia.
La politica di sviluppo rurale sostiene anche la qualità del cibo, in primo luogo incentivando sistemi di produzione agroalimentari più sostenibili (es. da agricoltura biologica e da sistemi di allevamento non intensivi, attenti al benessere degli animali e che non fanno uso indiscriminato di antibiotici). Ma c’è ancora tanto da fare, ad esempio dal punto di vista sociale, contro la lotta alla povertà, lo spreco di cibo, il sostegno alle filiere etiche. Fra i tanti, vorrei brevemente ricordare: i prodotti a marchio “NoCap”, la prima certificazione contro ogni forma di caporalato e sfruttamento del lavoro in agricoltura, creata dall’omonima associazione, e i prodotti a marchio “Libera Terra”, prodotti dalle terre sottratte alle mafie in Sicilia, Puglia, Calabria e Campania, da parte delle cooperative sociali nate per iniziativa di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”. Infine, vorrei richiamare l’attenzione sul nuovo intervento “SRG007 Cooperazione per lo sviluppo rurale, locale e Smart Villages” previsto dal Piano Strategico nazionale della PAC 2023-2027. Gli smart villages sono comunità in aree rurali che utilizzano soluzioni innovative per migliorare la loro resilienza, basandosi sui punti di forza e sulle opportunità locali. Si affidano a un approccio partecipativo per sviluppare e attuare la propria strategia di miglioramento delle condizioni economiche, sociali e/o ambientali, in particolare mobilitando le soluzioni offerte dalle tecnologie digitali. In tale ambito potranno, ad esempio, essere finanziati progetti di “Cooperazione per i sistemi del cibo, filiere e mercati locali” fondati su modelli di “Agricoltura Sostenuta dalla Comunità” (in inglese Community-Supported Agriculture – CSA), reti produttori-consumatori, forme associative e accordi con catene distributive/ristorazione/farmer’s market, mense collettive e progetti di educazione alimentare con le scuole, ad esempio per una corretta e sana alimentazione e la lotta all’obesità infantile. Sono, queste, tutte opportunità d’incontro che, con le giuste competenze, possono generare relazioni di condivisione di valori, solidarietà e cura reciproche».
Francesca Varia è Ricercatrice del CREA – Centro di Ricerca Politiche e Bioeconomia. Membro eletto del Comitato Scientifico per il quadriennio 2022-2026 si occupa di sviluppare analisi conoscitive e interpretative delle dinamiche economiche e sociali relative al settore agroalimentare, forestale e della pesca. Le analisi sull’andamento del sistema agroalimentare, gli approfondimenti di taglio settoriale e le analisi del funzionamento delle filiere costituiscono la principale attività istituzionale.