#Blog EllePì – Contro il lavoro minorile: i bambini hanno diritto alla propria infanzia

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“Il lavoro minorile e la povertà sono inevitabilmente legati e se si continua a usare il lavoro dei bambini come cura per la malattia sociale della povertà, si avrà sia la povertà che il lavoro minorile fino alla fine dei tempi”

Grace Abbott

 

Chi non ricorda i piccoli Pasquale e Giuseppe, i piccoli lustrascarpe protagonisti di Sciuscià, film capolavoro del neorealismo italiano, del regista Vittorio De Sica? La pellicola, prima nella storia ad aggiudicarsi il Premio Oscar come migliore film straniero, racconta uno spaccato della vita italiana del dopoguerra, attraverso le vicissitudini dei bambini. Sembra un tempo lontanissimo e per fortuna, generazione dopo generazione, la condizione dei minori in Italia è notevolmente migliorata, andando verso la cancellazione della piaga del lavoro dei bambini. Il percorso per il raggiungimento di questo traguardo, va ricordato, nemmeno in Italia è stato facile.

1. La normativa in Italia
Dal punto di vista normativo, come ricorda in un suo studio la dott.ssa Anna Rita Caruso, ispettore del lavoro: “Nel 1866 venne promulgata la prima legge organica dello Stato italiano (n. 3657 dell’11 febbraio), con questa normativa si ribadiva il limite di 9 anni da elevare a 10 per cave e miniere e a 15 anni per i lavori insalubri o pericolosi. Per i minori di età compresa tra i 9 e i 14 anni, l’ammissione al lavoro era subordinata al possesso di certificati d’idoneità”. Bisogna arrivare alla promulgazione della Costituzione italiana, nel 1947, per fare un ulteriore passo avanti in materia di tutele. L’articolo 37 recita: “La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione” ed ancora “la legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato”. Da ultimo il Ministero del lavoro con nota del 20/07/2007 n. 9799 ha disposto che l’innalzamento a 16 anni dell’età di ingresso al lavoro dei minori decorre dal 01/09/2007, come disposto dalla legge finanziaria n. 296/2006 entrata in vigore dal 1 gennaio 2007.

2. La legislazione internazionale
A livello internazionale, le normative cambiano da Paese a Paese, in base a una serie di contingenze, la situazione politica, sociale, economica e culturale, ma anche l’adozione o meno di convenzioni specifiche. La ratifica universale della Convenzione n. 182 dell’Organizzazione Internazionale del LavoroOIL– sulle peggiori forme di lavoro minorile ha segnato una tappa storica. “La ratifica riflette l’impegno globale affinché le peggiori forme di lavoro minorile, come la schiavitù, lo sfruttamento sessuale, l’arruolamento dei bambini nei conflitti armati o altri lavori illeciti o pericolosi che compromettono la salute e il benessere psicologico dei bambini, non trovino più posto nella nostra società” ha affermato il Direttore Generale dell’Oil Guy Ryder il 4 agosto del 2020, quando anche l’ambasciatore del Regno di Tonga ha depositato gli strumenti di ratifica della convenzione stessa.

3. Quando il lavoro minorile sembra l’unica possibilità di sopravvivenza
Non bastano, però, le leggi e i trattati internazionali per proteggere i bambini dalla piaga dello sfruttamento, né da quella della povertà. In molti Paesi dove formalmente il lavoro dei più piccoli è stato messo al bando, la realtà è che migliaia di bambine e bambini lavorano per sopravvivere, perché altrimenti non avrebbero altri mezzi di sostentamento. In Bolivia, a seguito di anni di proteste da parte di bambini lavoratori, nonostante l’opposizione dell’ILO, dell’Unicef e di Save the Children, nel 2014 fu approvata la Legge 548, il cosiddetto “Código Niña, Niño y Adolescente”, che accoglieva le istanze dei bambini i quali denunciavano che, senza lavoro, avrebbero sofferto la fame. Secondo la loro prospettiva, il lavoro minorile, lungi dall’essere proibito, andava regolamentato contro gli abusi e andavano garantiti una giusta retribuzione e diritti. La Bolivia non è, purtroppo, un caso isolato. In Paesi dove non esiste la cultura della legalità, dove mancano tutele dei diritti umani, che spesso sono attraversati da guerre, terrorismo e banditismo, per sopravvivere molti bambini orfani o con genitori impossibilitati a mantenere la propria famiglia perché mutilati, tratti in arresto o deceduti hanno come unica possibilità quella di lavorare, diventando perfino soldati.

4. Ancora 152 milioni di bambini lavoratori nel mondo
Attualmente, secondo Save the Children, nel mondo ci sarebbero circa 152 milioni di bambini lavoratori, definiti “Piccoli schiavi invisibili”. Circa la metà di loro sono impiegati in attività pericolose, che mettono a rischio la salute, la sicurezza e il loro sviluppo morale. Sono vittime di sfruttamento sessuale, lavorativo o accattonaggio forzato. In Italia gli ultimi dati disponibili risalgono al 2013, grazie a una ricerca condotta proprio da Save the Children, in collaborazione con la Fondazione Di Vittorio e l’Istat, da cui è emersa una stima di 340.000 minori al di sotto dei 16 anni occupati illegalmente, in particolare come babysitter, aiuto camerieri, baristi, giovani braccianti o manovali.

5. La pandemia e la dispersione scolastica
La pandemia da coronavirus ha ulteriormente aggravato la situazione, tanto che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in collaborazione con il Partenariato mondiale dell’Alleanza 8.7, ha lanciato il 2021 “Anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile”, promuovendo una serie di iniziative mirate, con l’obiettivo di porre fine a questa piaga entro il 2025. Come scriveva Kailash Satyarth: “Se non ora, quando? Se non tu, chi? Se saremo in grado di rispondere a queste domande fondamentali, allora forse potremo cancellare la macchia della schiavitù umana”. La dispersione scolastica, l’aumento della povertà, il moltiplicarsi di conflitti sono però premesse che fanno pensare che questo obiettivo, inserito anche nell’Agenda 2030, sia purtroppo troppo ottimistico. Non bastano le leggi, purtroppo, serve un senso della pietas e della giustizia che va difeso. Serve pensare che Pasquale e Giuseppe, come i bambini di ogni epoca, avevano bisogno di giocare, mangiare a sufficienza, sentire il vento in faccia, studiare. Questi non dovrebbero essere sogni per nessuno, ma certezze, diritti.


Asmae Dachan è giornalista professionista e scrittrice italo-siriana, è esperta di Medio Oriente, Siria, Islam, dialogo interreligioso, immigrazione e terrorismo internazionale, iscritta all’Ordine dei Giornalisti delle Marche dal 2010 lavora come freelance per diverse testate nazionali e internazionali. Responsabile Ufficio Stampa Fondazione Lavoroperlapersona.. Attivista per la pace e la non violenza, è stata nominata nel 2013 Ambasciatrice di Pace a vita  dell’Università per la Pace della Svizzera. Il 2 giugno 2019 è stata insignita del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

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