#Blog EllePì – Un’economia più solidale contro l’aumento della fame nel mondo

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Aumenta nel mondo il numero delle persone che soffrono per la malnutrizione, ben 118 milioni in più nel 2020 rispetto all’anno precedente. Le “flessioni economiche come conseguenza delle misure di contenimento del Covid-19 in tutto il mondo hanno contribuito a uno dei maggiori aumenti della fame nel mondo da decenni”, denuncia il rapporto annuale sulla sicurezza alimentare e sulla nutrizione compilato da diverse agenzie delle Nazioni Unite, che è stato pubblicato nei giorni scorsi. Secondo il documento, firmato congiuntamente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), il Fondo di emergenza per l’infanzia delle Nazioni Unite (Unicef), il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) e il World Food Organizzazione della Sanità (Oms), la pandemia ha causato un aumento del 18% circa di persone che soffrono la fame. Si tratta del dato peggiore da decenni. “Quasi una persona su tre nel mondo (2,37 miliardi) non ha avuto accesso a un’alimentazione adeguata nel 2020, un aumento di quasi 320 milioni di persone in un solo anno”, afferma il rapporto. Volendo geolocalizzare questo problema, la maggior parte di persone denutrite si trova in Asia, con 381 milioni, seguita dall’Africa con 250 milioni.

Da quanto emerge ci si sta pericolosamente allontanando di sradicare la fame nel mondo, così come indicato dall’obiettivo 2 dell’Agenda 2030. Ciò impone necessariamente una risposta della comunità internazionale, che proprio in questi giorni è riunita a Roma per il pre-Vertice sui Sistemi Alimentari organizzato dalle Nazioni Unite (Unfss) previsto a New York il prossimo settembre. Tra gli attivisti e le organizzazioni internazionali c’è, tuttavia, grande perplessità per la partecipazione, in qualità di co-organizzatore, del World Economic Forum (Wef), un organismo privato che riunisce le mille più grandi multinazionali del mondo. “Il capitalismo green non convince nessuno”, ha dichiarato Stefano Prato, direttore di Society for International Development e uno dei facilitatori del Meccanismo della Società civile e dei popoli indigeni (Csm). Come riporta Repubblica.it, Silvia Stilli, portavoce dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (Aoi) “Siamo di fronte ad un terreno di scontro tra due visioni opposte sul cibo. Da una parte, l’idea del cibo come diritto ed elemento crocevia di relazioni sociali e tradizioni. Dall’altra, l’enfasi sulla digitalizzazione della quantità enorme di dati ed informazioni agricole. Questa raccolta in mano a privati, non può che aumentare le diseguaglianze nell’acceso ai beni primari e rischia di essere l’ennesimo furto operato sulla pelle dei produttori di piccola scala, che per secoli hanno moltiplicato la biodiversità per il bene comune”.

L’obiettivo 2 dell’Agenda 2030 sopracitato mira a: “Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile”. Quest’idea dell’agricoltura sostenibile, a misura, cioè, di uomo e di ambiente è uno dei passaggi indispensabili per realizzare il cambiamento, per favorire un miglioramento della situazione globale. “Raddoppiare la produttività agricola, e il reddito dei produttori di cibo su piccola scala”, “garantire sistemi di produzione alimentare sostenibili e implementare pratiche agricole resilienti che aumentino la produttività e la produzione” sono alcuni dei traguardi previsti dall’Agenda. Come fare, dunque, a ribaltare la situazione, a creare i presupposti per un’agricoltura più libera, più sana, più equa, che riesca a rispondere alle esigenze della popolazione mondiale? Bisogna certamente guardare al futuro, alle innovazioni tecnologiche anche in ambito agricolo, ma è ora di riscoprire il legame con le radici, le tradizioni, i ritmi della natura. La vera rivoluzione oggi è tornare a un’economia più inclusiva, a un “lavoroperlapersona” dove, come previsto dallo stesso Obiettivo 2, ai lavoratori e alle lavoratrici agricole venga riconosciuto il giusto compenso, che permetta loro di vivere dignitosamente e di essere autosufficienti.

Negli ultimi anni si è sviluppata una sempre maggiore sensibilità rispetto alla valorizzazione del territorio e alla cosiddetta filiera corta, con la riduzione dei passaggi dai produttori ai consumatori e di conseguenza una riduzione dei costi e dell’inquinamento. La filiera corta permette ai piccoli produttori di essere indipendenti dalla grande distribuzione, e di lavorare a ritmi meno pressanti, che però rispettano il naturale ciclo delle stagioni. In questo orizzonte si conferma anche la crescita del cosiddetto “Slow Food”, nato come movimento culturale internazionale, che da anni opera sotto forma di un’associazione senza scopo di lucro, presente ormai in oltre 150 Paesi, che si pone l’obiettivo di “ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali”. La “leadership locale”, in agricoltura, ma anche in altri settori come quello della produzione ittica, vitivinicola e arborea è una forma di sopravvivenza per le economie locali. Consumatori e ristoratori sono sempre più attenti anche a questi processi, che rispondono contemporaneamente all’esigenza di comprare prodotti di qualità, pagando il giusto prezzo. La stessa Agenda 2030 dà indicazioni in questi termini, in particolare con l’obiettivo 3 “salute e benessere”, l’obiettivo 12 “consumo e produzione responsabili”, e l’obiettivo 13 “lotta contro il cambiamento climatico”. Proprio in questi giorni Metro Italia ha lanciato “L’altra metà del cibo”, un progetto per ridurre gli sprechi alimentari nella ristorazione, ideato e sviluppato in collaborazione con Metro Academy, Apci- Associazione professionale cuochi italiani, Banco Alimentare e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che da anni lavorano all’obiettivo comune di ridurre lo spreco alimentare.

Un’esortazione in questo senso era giunta da Papa Francesco con la sua seconda Enciclica, la Laudato sì, pubblicata il 24 maggio 2015 e considerata da molti la “coscienza” di un nuovo vivere in modo giusto e sostenibile la Casa Comune. Ben 118 milioni di persone in più che soffrono la fame, in prevalenza bambini inermi, esortano alla ricerca di nuove e urgenti risposte che non possono prescindere da una reale riscoperta del valore dell’uomo, dei suoi talenti, delle sue esigenze, delle sue aspirazioni. Solo così la fame e la povertà potranno ridursi e si potrà puntare alla realizzazione degli obiettivi dell’Agenda 2030.

 


Asmae Dachan è giornalista professionista e scrittrice italo-siriana, è esperta di Medio Oriente, Siria, Islam, dialogo interreligioso, immigrazione e terrorismo internazionale, iscritta all’Ordine dei Giornalisti delle Marche dal 2010 lavora come freelance per diverse testate nazionali e internazionali. Responsabile Ufficio Stampa Fondazione Lavoroperlapersona.. Attivista per la pace e la non violenza, è stata nominata nel 2013 Ambasciatrice di Pace a vita  dell’Università per la Pace della Svizzera. Il 2 giugno 2019 è stata insignita del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

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