Blog EllePì – Brain drain e brain gain: favorire la “circolazione dei cervelli” per far crescere il nostro Paese

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di Fabrizio Maimone

Il fenomeno della “fuga dei cervelli” è da tempo al centro del dibattito mediale. Gli analisti e gli opinion maker fanno a gara nel denunciare il rischio associato all’emigrazione delle nostre risorse più qualificate, che priverebbe il nostro Paese dei migliori talenti. Il mantra, recitato con ossessiva insistenza in tutti i talk show televisivi, è: -“dobbiamo fermare la fuga dei cervelli”. In realtà, le cose sono un po’ più complicate di quanto appaiano. E’ necessario analizzare il fenomeno con metodo, separando i fatti dagli slogan. Non sono disponibili studi sistematici sul fenomeno della fuga dei cervelli. Abbiamo solo dei dati parziali, provenienti da fonti diverse. Secondo l’ISTAT (Giovannini, 2011), il numero di italiani emigrati all’estero è compreso tra i 3,9 e i 4,2 milioni. La percentuale dei laureati sul totale degli espatriati è raddoppiata (dall’8,3% al 15,9%), nel decennio 2001 – 2010. Più della metà dei laureati italiani emigrati all’estero svolge un’attività di tipo manageriale o di elevata specializzazione.

Il rapporto dell’ISTAT, inoltre, rivela che il 6,4% dei dottori di ricerca italiani, che hanno conseguito il titolo tra il 2004 e il 2006, risiede all’estero. Infine, i dati ISTAT evidenziano che i ricercatori hanno una propensione ad espatriare superiore alla media (10%), rispetto a chi svolge altre attività professionali. Perciò, non è tanto la dimensione quantitativa, quanto quella qualitativa a destare preoccupazione: elevati profili professionali, laureati ad alto potenziale, ricercatori e docenti universitari sembrerebbero essere più propensi ad emigrare all’estero, rispetto alla media della popolazione. I dati forniti dall’ISTAT sono in linea con le indicazioni emerse da uno studio dell’Aspen Institute (AA. VV, 2012) che, analizzando i dati OCSE, ha evidenziato che il fenomeno della fuga dei cervelli in Italia, dal punto di vista quantitativo, è abbastanza contenuto. Secondo i dati OCSE del 2000, infatti, il tasso di emigrazione italiano è del 7%. Siamo, perciò, al di sotto della media europea (si veda anche Beltrame 2007). L’analisi cambia se analizziamo i trend migratori dal punto di vista qualitativo: il flusso in uscita di cittadini italiani con elevate qualifiche professionali all’estero è crescente. In particolare, i dati relativi all’emigrazione verso gli Stati Uniti evidenziano che un numero particolarmente significativo di ricercatori e docenti universitari italiani vive e lavora negli U.S.A. (AA. VV, 2012). Infine, sono circa 34 mila gli italiani che lavorano nel campo della scienza e della tecnologia negli altri Paesi europei. Quindi, non è l’ammontare assoluto dei flussi in uscita a preoccupare, ma la significativa percentuale di persone con titolo di studio e qualifica professionale elevati, che lasciano il nostro Paese. L’emorragia dei cervelli italiani emigrati all’estero non viene compensata da un flusso proporzionale di risorse qualificate in entrata. Sappiamo, infatti (si veda AA. VV. 2012) che i flussi migratori verso l’Italia sono costituiti prevalentemente da immigrati con basso tasso di istruzione e livello di specializzazione. Inoltre, chi va via dall’Italia e trova delle buone opportunità professionali fuori dai confini italiani, difficilmente ritorna nel nostro Paese. Il dato è confermato da uno studio recentissimo della rivista Nature, che evidenzia che l’Italia è agli ultimi posti nel mondo per la capacità di attrarre ricercatori dall’estero. Questo trend favorisce un progressivo depauperamento del nostro capitale umano e rappresenta il rovescio della medaglia di una struttura produttiva che non è in grado di assorbire un numero elevato di lavoratori della conoscenza, di un sistema economico che non favorisce la mobilità sociale, di un sistema universitario che arranca a fatica tra riforme incompiute e tagli lineari. A questo dobbiamo aggiungere il fatto che gli investimenti italiani su istruzione e ricerca sono significativamente al di sotto della media europea (si veda su questo argomento l’articolo di Foradini sul Sole24ore.it ).

Fig. 1: Il bilancio tra entrate ed uscite di talenti nei paesi europei

fonte: http://www.economist.com/

La migrazione dei meridionali con titolo di studio elevato e/o alta qualifica professionale verso il Centro-Nord è l’altra faccia della fuga dei cervelli, meno visibile, perché si svolge all’interno dei confini nazionali. I dati ISTAT (Cantalini e Valentini, 2012) confermano che l’emigrazione dal Mezzogiorno verso il resto del Paese è tornata a crescere, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, con un divario tra entrate e uscite costantemente negativo.

Alcuni studi dimostrano che il brain drain produce effetti negativi nel breve periodo, ma può portare dei benefici nel medio-lungo periodo, se si attuano politiche pubbliche mirate ad attrarre risorse qualificate dall’estero e incentivare il rimpatrio degli emigrati nel proprio Paese di origine (si veda Solimano 2002). Gli esempi dell’Australia, per quanto riguarda le politiche attive di brain gain, e di India e Cina, per quanto concerne le politiche di incentivazione al rientro degli espatriati, sembrerebbero confermare questa tesi. Nel caso italiano, però, la realizzazione di programmi pubblici di brain gain rischierebbe di produrre risultati effimeri, se non si creano contemporaneamente le condizioni necessarie per consentire a chi viene nel nostro Paese (non importa se straniero o italiano) di lavorare al meglio e contribuire effettivamente alla crescita del nostro sistema (non solo) produttivo. Difatti, molti programmi pubblici, pensati per favorire il rientro in Italia dei cervelli emigrati all’estero, sono falliti, anche perché i nostri connazionali rimpatriati non hanno trovato in Italia le condizioni economiche, strutturali e culturali adeguate per condurre a buon fine i progetti assegnati. Peraltro, i policy maker devono fare i conti con la cruda realtà della situazione socio-economica italiana, confermata dai dati dell’ultimo Rapporto CENSIS (www.censis.it). Se il sistema produttivo non cresce e non è in grado di offrire adeguate opportunità di impiego ai nostri laureati, come si può pensare di incentivare l’ingresso dei talenti dall’estero? Invece, è assai più probabile che il divario negativo tra flussi in uscita e entrata di capitale umano nel nostro Paese, nei prossimi anni, cresca ulteriormente.

E’ pur vero che, nell’era di internet e dei voli low cost, i flussi migratori non sono l’unico modo per facilitare la circolazione delle idee, delle conoscenze e delle buone pratiche. Se Maometto non può andare alla montagna, allora dobbiamo fare in modo che la montagna vada da Maometto. Possiamo incentivare la circolazione almeno del…prodotto dei cervelli in fuga, facilitando la costruzione di reti di scambio e lo sviluppo di progetti di collaborazione che coinvolgano i nostri talenti emigrati all’estero e, nel caso delle regioni del Sud, anche i meridionali trasferiti al Centro-Nord. Con l’obiettivo di facilitare processi di contaminazione culturale e creazione di nuove conoscenze, attraverso due meccanismi:

a)     La traduzione delle conoscenze, ovvero, quel processo di localizzazione e ri – elaborazione delle conoscenze prodotte al di fuori del proprio contesto socio-culturale, che è stato al centro del processo di sviluppo del Giappone, dopo la Seconda Guerra Mondiale (Holden e Glisby 2010). Questo meccanismo si basa sul presupposto che le conoscenze non sono astratte, ma sono situate e storicizzate in uno specifico contesto, socio-economico, politico e culturale (Lave e Wenger 1991, Gheradi e Nicolini, 2004). Per questo il processo di acquisizione delle conoscenze dall’estero non può e non deve limitarsi all’importazione di modelli e buone pratiche prodotti altrove, ma deve favorire un processo di conversione della conoscenza (Nonaka e Takeuchi, 1997), ovvero di adattamento e rielaborazione della conoscenza stessa ai contesti locali. Quindi, l’espatriato può svolgere un ruolo di ponte e di mediazione culturale tra la propria terra di origine e le migliori conoscenze e pratiche acquisite lavorando all’estero. Lo stesso principio si può applicare al caso dell’emigrante, che ha lasciato la propria regione di origine e si è trasferito in un’altra regione italiana. Questo processo di traduzione potrà favorire a sua volta processi di cambiamento culturale.

b)     La creazione di uno spazio della conoscenza, che favorisca la creazione di nuove idee, saperi, pratiche e progetti, attraverso il confronto tra punti di vista, pratiche, professionali, culture professionali e manageriali diverse. I “locali” possono imparare dagli emigrati e viceversa, innescando un circolo virtuoso di apprendimento collaborativo. Per questo, però, è necessario creare un clima di apertura, di fiducia ed un forte spirito di collaborazione (si veda Alici, Generazioni in dialogo tra “solventi” e “collanti”).

La diffusione di metodologie e pratiche di lavoro collaborativo, come ad esempio la progettazione partecipata o la “wiki-collaboration”, e di strumenti (on line e off line) per la creazione di community e network professionali può contribuire a facilitare l’engagement dei talenti italiani, emigrati al Centro-Nord o all’estero. Progetti di questo tipo sono stati realizzati, ad esempio, in Trentino e in Alto Adige. Il fine ultimo di queste iniziative dovrebbe essere favorire quello sviluppo inclusivo, auspicato da Gabriele Gabrielli in un suo recente editoriale.

 

Per approfondire

AA. VV. (2012), Brain drain, brain exchange e brain circulation. il caso italiano nel contesto globale, Rapporto Aspen Institute Italia;

AA. VV., Global mobility: Science mapped out, Nature, http://www.nature.com/news/global-mobility-science-mapped-out-1.11585

Alici L. (2012), Generazioni in dialogo tra “solventi” e “collanti”, Discussioni Ellepì;

Beltrame L. (2007), REALTÀ E RETORICA DEL BRAIN DRAIN IN ITALIA. Stime statistiche, definizioni pubbliche e interventi politici, Quaderni del Dipartimento di sociologia e ricerca sociale, Marzo 2007;

Cantalini B. e Valentini A. (2012), La recente mobilità territoriale in Italia. Le migrazioni dal Mezzogiorno al Centro-Nord nel periodo 1995-2008, Argomenti n. 44, ISTAT.

Docquier F. e Rapoport H. (2009). Quantifying the Impact of Highly-Skilled Emigration on Developing Countries, PEGGED Policy Report n. 1;

Economist on line, Italy’s brain drain. No Italian jobs. Why Italian graduates cannot wait to emigrate

Foradini F. (2012), La scuola che funziona meglio è quella finlandese. Sarà perché investono il 12% del Pil nell’istruzione?, Ilsole24ore.it;

Gabrielli G. (2012), Credit crunch e il lavoro degli esclusi, Discussioni Ellepì;

Giovannini E. (2011), “Indagine conoscitiva sulle politiche relative ai cittadini italiani residenti all’estero”, Istat, Audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica, Comitato per le questioni degli italiani all’estero, Senato della Repubblica, Roma, 13 giugno 2011;

Gherardi S., Nicolini D.(2004), Apprendimento e conoscenza nelle organizzazioni, Carocci, Roma.

Holden N. & Glisby M. (2010), Creating Knowledge Advantage: The Tacit Dimensions of International Competition and Cooperation, Copenhagen Business School Press, Denmark;

Lave, J. & Wenger, E. (1991), Situated learning: Legitimate Peripheral Participation, Cambridge University Press;

Nonaka I., Takeuchi H. (1997), The Knowledge creating company. Creare le dinamiche dell’innovazione, Guerini & Associati, Milano;

Solimano A. (2002), “Globalizing Talent and Human Capital: Implications for Developing Countries”, 4th Annual World Bank Conference on Development Economics (ABCDE), for Europe held in Oslo, Norway on June 24-26, 2002.

 

Profilo dell’autore

Fabrizio Maimone insegna comunicazione organizzativa e globalizzazione e sviluppo locale presso l’Università LUMSA di Roma. Inoltre, è docente presso la LUISS Business School e visiting fellow presso l’Università di Canberra. Consulente di direzione e formatore manageriale, opera nel campo della comunicazione, del cambiamento organizzativo, della gestione della conoscenza e del cross-cultural management. Tra i suoi volumi più recenti ci sono “Sviluppo glocale.”, Franco Angeli, Milano (in corso di pubblicazione) e “La comunicazione organizzativa”, Franco Angeli, Milano, 2010.

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