Luigi Alici, la Speranza tra teologia e storia: “Una Virtù Sovversiva”


La speranza cristiana non nasce dalla mera antropologia del desiderio umano, ma è una risposta che scaturisce da una teologia della grazia; per questo, non è un sentimento che si fonda su un bisogno o una domanda, ma su una verità che è inconciliabile con qualsiasi forma di egemonia dogmatica. La speranza cristiana, dunque, non può rivendicare uno spazio privilegiato nella scena pubblica, proprio perché essa è una verità che vive nell’orizzonte del “non ancora”, un luogo dove l’uomo è chiamato a rispondere a un bene che già lo sovrasta. Ma come si può trasmettere questa speranza nel mondo laico? Come possiamo darle un passaggio nelle nostre esistenze quotidiane? La via potrebbe trovarsi nel dialogo tra la speranza cristiana e quella sociale, entrambe accomunate dal destino comune dell’umanità: la strada su cui insieme si cammina continuando a domandarsi e a domandare. Questi i temi della lectio di Luigi Alici – professore emerito di Filosofia Morale presso l’Università di Macerata – che ha aperto l’ultima giornata del Film Festival Offida 2025.

Il disincanto della speranza

Oggi, la speranza sembra essere una parola svuotata di significato. Poche persone sono in grado di nutrire speranze in grado di turbare l’ordine stabilito. La speranza è diventata una speranza moralistica, addomesticata e banalizzata, incapace di sfidare la realtà e di promettere una salvezza totale, ,e allora cosa possiamo fare di una speranza che non disturba e che non sembra più capace di mutare nulla? Per Alici è come se vivessimo una speranza “senza aspettative”, che si riduce a un immobilismo privo di futuro. In fondo, il nostro rapporto con la speranza assomiglia molto a quello di un condannato a morte che ha la possibilità di scegliere l’ultimo pasto: una speranza che non cambia nulla, che ci lascia ancorati a un presente senza un vero orizzonte.

Gabriel Marcel definisce la speranza come un “problema e mistero“, un mistero che ci sfida a riconoscere l’eccedenza del bene di fronte al trionfo del male. Il professore spiega che quando vediamo il male prevalere, la speranza cristiana ha il dovere di insorgere: il riconoscimento che, pur di fronte alla sofferenza e alla morte, il bene non può essere annientato. La speranza cristiana, quindi, non è solo una virtù che si situa nel mezzo, come il coraggio o la giustizia, ma è una virtù che sovverte. È una speranza che non può mai peccare per eccesso, ma solo per difetto. È una speranza che ci spinge a guardare oltre, a non accontentarci di un’illusoria giustizia, ma a cercare una redenzione che non dipenda dal nostro potere.

La speranza cristiana, quindi, nasce dal disincanto, dalla consapevolezza della superiorità del bene di fronte al male. È una speranza che non promette facili soluzioni, ma che, al contrario, riconosce il rischio e l’incertezza dell’esistenza. San Paolo, come la sua discepola Tecla, parlava di una “grazia eccedente”, di un amore che trascende le nostre fragilità e che nessuna forza può annullare. La speranza cristiana non nasce dal vuoto di un desiderio, ma da un bene che già esiste. Non è una speranza che si fonda su un futuro incerto, ma, come ha detto Alici “sulla certezza di un amore divino che non ci abbandona mai”.

Questa speranza, tuttavia, avvisa Alici, non può esistere senza un contesto. La speranza è sempre una realtà relazionale: non può mai essere solo “Io”, ma è sempre “noi”. La speranza muore quando viene afflitta dalla “fase storica” ed escatologica che riduce l’orizzonte umano a unicamente temporale, limitando le possibilità dell’uomo a un destino che sembra già segnato. La nostra cultura, oggi, vive questo tipo di contraddizione: da un lato, l’autocensura politica che minaccia di farci dimenticare l’annuncio della resurrezione, dall’altro, la tendenza ad accettare una visione della vita che non considera più la morte come un passaggio, ma come un punto finale. Viviamo in un mondo che ha smesso di vedere la speranza come un’aspirazione verso qualcosa che va oltre il nostro presente.

La speranza e il “presentismo”: tra il marxismo e la gnosi

Il “presentismo” è una delle tentazioni più forti del nostro tempo, quella di ridurre il tempo a un solo, eterno presente, come se l’eternità e la storia fossero in conflitto. Eppure, come sottolineano filosofi come Bauman, la speranza non può essere disincarnata dal contesto storico. In effetti, negli anni ’60, quando sembravano finire le grandi ideologie e con esse la promessa di un futuro migliore, il tentativo di fermare il tempo post-bellico sembrava promettere un mondo migliore. Ma oggi ci ritroviamo in un contesto simile, anche se più desolato, dove la lotta per la libertà sembra essersi affievolita, e le organizzazioni che una volta portavano speranza sono ridotte a ombre di ciò che furono.

Un autore interessante da questo punto di vista è Ernst Bloch, che nel contesto del marxismo ha teorizzato una “speranza eretica”. Bloch rifiuta la visione di Marx secondo cui la religione sarebbe l’oppio dei popoli, ma al contrario vede nel cristianesimo un’utopia che cammina con piedi umani. L’ontologia del “non ancora” è il luogo dove l’impossibile potrebbe realizzarsi. La speranza è, dunque, un atto di fede storica, che non guarda a un aldilà, ma che si radica nella realtà concreta e quotidiana. In questo, Bloch si fa interprete di una speranza che è sempre storica, che nasce nel tempo, nella lotta, e che non ha mai una fine definitiva. Ma come direbbe Simone Weil, “a noi non è concesso di avanzare in linea verticale, è nella storia che dobbiamo vivere il tirocinio della speranza”. La speranza non si trova fuori dalla storia, ma in essa, nella libertà di scegliere, di lottare, di resistere.

La speranza come responsabilità sociale

La pandemia, infine, ha accentuato la divisione tra libertà individuali e responsabilità pubbliche, un conflitto che ha aperto la strada a un nuovo colonialismo tecnologico. I politici, invece di offrire speranza, sembrano incapaci di immaginare un futuro migliore, mentre le disuguaglianze crescono e la libertà sembra un’illusione. Ma la speranza non può essere solo una reazione a una condizione di ingiustizia: deve partire dal riconoscimento del bene e della persona, dal senso di responsabilità che nasce dalla nostra relazione con gli altri.

In questo senso, la speranza cristiana può anche essere vista come una risposta al senso di morte che sembra affliggere il nostro mondo. Come scrive Von Balthasar, la speranza cristiana inizia là dove non c’è più speranza, nel buio della morte, e si estende, trasformandosi in solidarietà, in una speranza che va prima di tutto a favore delle vittime, degli oppressi, di chi non ha voce. La speranza, dunque, chiude il professore Alici, “è una virtù sovversiva”. “Non è mai banale, non è mai semplice, ma è sempre un segno di resistenza”, continua. In un mondo che sembra sempre più disincantato e privo di visioni future, la speranza è la luce che non smette di brillare, anche nelle tenebre. È un respiro che dà vita a ogni persona, e la fiducia in essa è l’ossigeno che permette all’umanità di sopravvivere, di rialzarsi, di lottare. E forse, in questo dialogo tra fede e storia, tra speranza cristiana e speranza umana, si gioca una parte fondamentale del nostro destino.


Un gioco... da ragazzi
#Blog EllePì - Il lavoro? Un gioco da ragazzi!