Reportage EllePì – Sulle tracce del lavoro che resiste – Viaggio sui sibillini – Amandola, seconda parte

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L’ultimo giorno incontriamo Sonia Baldoni alla Casa delle Erbe. Di Sonia ci aveva parlato inizialmente Catharina la prima sera all’Osteria del Lago, presentandola come una grande esperta ed appassionata di erbe spontanee, passione che aveva trasformato in un lavoro vero e proprio. La strada per accedervi è molto buia, bisogna scendere lungo un viottolo sterrato che devia dalla strada principale verso uno spiazzo circondato da alberi. Non appena imbocchiamo il viottolo scorgiamo nel buio fra gli alberi una casa bianca, dalle cui finestre trapela una luce viva e calda. Bussiamo, incuriositi anche dal vociare che proviene dall’interno della casa. Il portone è in realtà aperto e dà su un angusto andito dove si trova una porta in legno vetrata. Sul retro del portone sono appese un’effige bizantina di Cristo, diverse pagine ingiallite che provengono forse da sacre scritture o forse antichi libri d’erboristeria. La stramba opera di affissione si estende anche sulla porta di legno, sulla cui anta sinistra è poi avvitato lo specchietto retrovisore di un’automobile, nel quale mentre busso vedo riflesso il volto titubante ma divertito di Alice. Viene ad aprirci una donna sulla cinquantina che sembra non sorprendersi del nostro arrivo. “Buonasera, cerchiamo Sonia Baldoni” si fa coraggio Alice. “Prego, entrate, è in cucina”. Lo scenario che si presenta ai nostri occhi una volta varcata la soglia è quanto meno suggestivo. Lo spazio è caldo ed accogliente ed ogni centimetro di superficie su cui si posa l’occhio pare volerti raccontare una storia diversa. Le pareti sono costellate di immagini ed oggetti di ogni sorta, stampe, disegni, fotografie, ancora pagine ingiallite manoscritte, ritagli di giornale, effigi religiose, ma anche maschere etniche, fiori ed erbe essiccate, crocifissi, rosari, scacciapensieri, stoviglie, mestoli e vasellame vario. Nella stanza ci sono quattro donne di mezza età, intorno ad una tavola riccamente imbandita. Sonia fa capolino dalla cucina. Indossa un grembiule e pare inizialmente un po’ confusa. “Buonasera Sonia, sono Davide, ci siamo sentiti per telefono ieri. Avevo provato a scriverti per avvisarti del nostro arrivo”.

Ma certo, ciao Davide, benvenuto! Sì, perdonami, quel coso non lo guardo mai”, risponde gettando un’occhiataccia verso il telefono, che giace silente su una mensola dietro al tavolo da pranzo. Con lei c’è un gruppo di entusiaste del mondo delle erbe in visita dalla Casa delle erbe di Bologna, giunte in terra marchigiana per celebrare il solstizio d’estate. Decidiamo di congedarci rapidamente e permettere al colorito ensemble di consumare il lauto pasto che oramai da diversi minuti le attendeva sulla tavola e Sonia ci invita a farle visita due giorni dopo. “Però non scrivermi, che tanto i messaggi non li vedo. Venite quando volete!”. Il giovedì mattina la sveglia suona comunque presto. Ci rimettiamo in auto, cercando di rammentare le indicazioni dateci qualche giorno prima da Catharina. Troviamo il viottolo e ci incamminiamo verso la casa bianca. Sonia indossa un abito nero con una fantasia floreale, le dita, i polsi ed il collo sono cinti da una gran numero di gioielli, anelli, bracciali e collane dalle più svariate sembianze e fattezze. Incomincia a raccontarsi. Nata ad Agugliano, comune di circa cinquemila abitanti in provincia di Ancona, vive per oltre vent’anni a Jesi, dover per diciotto lavora come operatrice finanziaria. La chiamata della natura era giunta però anni prima, la notte di San Lorenzo del 1990, quando si trasferisce nella provincia di Cuneo, in terra Occitana, dove per tre anni vive in una casa scavata nella roccia, circondata dai suoi cavalli e dalla natura incontaminata. Negli anni studia, ricerca, viaggia alla scoperta dei segreti delle erbe spontanee, ma si interessa anche della cultura dei Sanniti, delle tradizioni celtiche e degli Indiani d’America, accumulando una vastissima conoscenza nei campi dell’erboristeria, dello sciamanismo, ma anche delle tecniche di medicina olistica, magnetoterapia e di utilizzo delle piante officinali.

Dopo gli anni spesi in terra occitana Sonia decide di fare della propria vasta conoscenza una missione di vita, iniziando a viaggiare l’Italia ed il mondo per tramandare ed espandere le proprie conoscenze. Ad Amandola, come Luigi, giunge dopo il terremoto. Sfollata da Jesi, decide di trasferirsi definitivamente nelle terre dei Sibillini, le cui leggende e tradizione la affascinano da sempre.Il terremoto è stato per me una benedizione. E poi diciamocelo, di tanto in tanto ci vuole un evento naturale che ci ricordi che non siamo noi a dominare il mondo afferma con fare sereno e perentorio. Una tale confessione non mi sorprende. Dopo aver ottenuto dalla guardia civile l’abitazione in cui risiede ancora oggi, Sonia riprende la sua attività di ricerca ed insegnamento, esplorando l’intero paesaggio dei Sibillini alla ricerca di nuove e vecchie erbe spontanee, che poi pianta e coltiva del giardino antistante la casa. “Oramai ho una selezione di oltre quattrocento diverse erbe” afferma con orgoglio. La Casa delle Erbe, come recita una targa in legno che affiora fra l’erba alta del giardino, è divenuta negli ultimi anni porto sicuro di chi condivide con lei l’inusuale passione. Sonia ospita esperti, entusiasti e curiosi, guidandoli lungo percorsi di apprendimento ma anche spirituali, e avallando poi l’apertura di nuove case delle Erbe in tutto il paese, con le quali poi intrattiene strette relazioni di varia natura.

Mentre Alice la segue nel giardino con la macchina fotografica al collo, nella penombra della cucina, accompagnato dal suono dei salmi della mattina proveniente da una vecchia radio in soggiorno, circondato da vasi e vasellami, oli, polveri, piante e spezie di ogni guisa, mi cimento con titubanza nel trattare il prezioso materiale, perché “devi sporcarti le mani per sentire il contatto con la natura mi dice Sonia. Il pranzo viene consumato nel soggiorno, sorseggiando acqua infusa di fiori di sambuco e gustando sapori e colori sino ad allora mai provati. È giunto oramai il tempo di congedarci, Sonia è in partenza per Matera dove trascorrerà una settimana per continuare le celebrazioni del solstizio d’estate, appuntamento apparentemente immancabile nel calendario di quella sua sincretica spiritualità. “Perdonatemi, ma devo ancora fare le valigie e non voglio dimenticare nulla”, ci dice mentre sorrido pensando all’impresa che deve rappresentare la ricerca degli oggetti da portare con sé nel caos ordinato di quelle stanze.


Davide Lhamid è un fotografo documentarista originario della provincia di Varese. Formatosi fra Milano e Londra, dopo una laurea triennale in Sociologia, si specializza nella fotografia di reportage, incentrando la sua ricerca su tematiche sociali, con una particolare attenzione alla questione migratoria.
Alice Zorzin (1996) è una fotografa documentarista con base nel Nord Italia. Dopo la laurea in storia dell’arte contemporanea, decide di dedicarsi completamente alla fotografia. Nei suoi progetti personali Zorzin analizza il rapporto tra uomo e natura e narra di questioni climatiche e ambientali. Attualmente sta portando avanti due progetti a lungo termine riguardanti, il primo, i giovani nati, cresciuti e che hanno deciso di restare a vivere in montagna e, il secondo, un parassita che sta distruggendo le foreste alpine e la sua economia.


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