#Blog EllePì – Disabilità e lavoro: «abilismo» e parità di diritti

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Il concetto di “disabilità” non trova ancora una definizione condivisa. Qual è la disabilità alla quale ci riferiamo quando parliamo di “soggetto con disabilità”? Forse una problematica fisica? Oppure sensoriale? Intellettiva? Anzitutto è bene distinguere la disabilità dalla menomazione: la menomazione è la perdita o l’irregolarità del funzionamento di una struttura o funzione anatomica, fisiologica o psicologica del soggetto; la disabilità è l’effetto della menomazione che determina una perdita o diminuzione della capacità del soggetto di eseguire azioni connesse all’area coinvolta dalla menomazione. Seguendo le orme di un modello sociale della disabilità, non è l’individuo che deve adattarsi al contesto ma è l’ambiente che deve adeguarsi a lui. È il contesto nel quale il soggetto vive che, nel caso specifico di soggetti con menomazioni, crea delle barriere insormontabili e limitano le sue attività quotidiane.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che: “La disabilità non è semplicemente una qualità di un individuo, piuttosto un insieme complesso di condizioni, molte delle quali sono create dall’ambiente sociale (ICF, 2002). È doveroso richiamare anche al Programma di adozione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità impiegato in Italia nel 2017, documento con cui l’OND (Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità) difende e lotta per i diritti umani delle persone con disabilità e prevede il raggiungimento di una completa uguaglianza tra tutti gli esseri umani, in un clima di rispetto reciproco tra individui, totale inclusione e partecipazione nella società, apprezzamento delle diversità e accessibilità per tutti. Tuttavia, è davvero così? Realmente i diritti umani e lavorativi di una persona con disabilità sono equiparabili a quelli di una persona senza una disabilità? Davvero un soggetto con disabilità non vive alcun tipo di discriminazione nel suo contesto lavorativo, qualora avesse il privilegio di averne uno?

Occupazione e diritti
La Commissione Europea nel 2022 ha svolto una ricerca confrontando i dati occupazionali delle persone con e senza disabilità. Cosa emerge? In Europa il 75,6% delle persone senza disabilità ha un lavoro; le persone con disabilità registrano una percentuale più bassa, difatti solo il 51,3% di essi ha un’occupazione. La sostanziale differenza lascia intendere che i disabili non godono degli stessi diritti degli altri. La disparità tra i dati ottenuti è da ricondurre a molteplici ragioni: mancanza degli adattamenti necessari e appropriati sui luoghi di lavoro che non consentono al disabile di svolgere quanto affidato in egual modo a tutti gli altri o ancora pregiudizi e mancanza di un’educazione inclusiva. Inoltre, da questa ricerca emerge che nonostante le donne con disabilità abbiano maggiore istruzione rispetto agli uomini, all’abilismo (con ciò si intende la discriminazione nei confronti delle persone disabili) si associano le discriminazioni correlate alle differenze di genere, determinando così un tasso di disoccupazione femminile superiore rispetto a quello maschile.

Disabilità e dignità del lavoro
Queste tematiche sono state discusse con grande interesse e partecipazione anche durante l’ottava edizione del Seminario Interdisciplinare sull’Accoglienza della Fondazione Lavoroperlapersona, che si è concentrato su un concetto strettamente collegato al nostro: la dignità del lavoro. Ci si riferisce alla dignità di avere un lavoro, di godere di pari opportunità a prescindere dalla propria condizione di disabilità, un lavoro gratificante in linea con i propri obiettivi e con i propri ideali, soddisfacente e compiacente. L’effettivo adempimento delle numerose normative nate per offrire le stesse possibilità di crescita a tutti i lavoratori, accompagnato da una cultura appropriata su tale tema e investimenti educativi congrui, porterebbero ad un esito positivo all’interno del luogo di lavoro favorendo l’inclusività e l’uguaglianza degli impiegati. É la persona che conta, la sua dignità e seguendo questa direzione è bene creare programmi mirati all’aiuto e al supporto delle persone con maggiori difficoltà, concedendogli di entrare in un mondo diverso da quello a cui sono abituati, un mondo che offre un vero futuro e non solo un ideale. “Il lavoro è prendersi cura di noi stessi, degli altri, di ciò che facciamo, perché è questo che contribuisce a dare forma alla nostra identità personale. È nel lavoro che cerchiamo la nostra dignità e tale ricerca deve essere garantita a tutti, “perché con il lavoro non solo sopravviviamo ma viviamo” (Gabrielli 2021, p. 241).


Riferimenti:
Gabrielli G. (a cura di), Il lavoro che si prende cura, Franco Angeli, 2021
OMS, ICF – Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, Erickson, 2002.


Alessia Franzese
Neolaureata magistrale in Valutazione del funzionamento individuale in Psicologia clinica e della salute presso l’Università degli Studi di Perugia e tirocinante al servizio di Psiconcologia dell’AUCC (Associazione Umbra per la lotta Contro il Cancro) all’interno dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. Al centro del mio interesse c’è la persona, l’amor proprio e per l’altro, i beni comuni, la possibilità di esprimersi liberamente in privato e in ambito lavorativo per il pieno raggiungimento dei propri obiettivi.

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