Reportage EllePì – Sulle tracce del lavoro che resiste – Viaggio sui Sibillini – Amandola, prima parte

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Per il terzo anno consecutivo, continua la partnership tra Scuola Jack London e Fondazione Lavoroperlapersona per valorizzare il Reportage come forma espressiva e culturale di raccontare il lavoro. Quest’anno, abbiamo deciso di metterci in viaggio sui Monti Sibillini per un viaggio nelle così dette Terre Mutate dal sisma del 2016. In mezzo a macerie e cantieri, c’è ancora un lavoro che resiste e che fa di tutto per continuare a restare. Artefici di questo racconto saranno Alice Zorzin (fotografia) e Davide Lhamid (testi) – studenti dell’AS 2023 della Scuola Jack London – che si sono messi in viaggio nell’estate 2023 per sentieri e paesi troppo spesso dimenticati. Ma non da noi. 


Il nostro viaggio inizia da Amandola, che si trova a cinquanta chilometri a nord dell’epicentro del sisma, in Piazza Risorgimento, dove si si consuma la vita sociale del paese. Osservo e ascolto un gruppo di anziani signori interloquire mestamente al tavolo di fianco al nostro, mentre aspettiamo Michela. Ha appena smontato dal turno alle poste, dove lavora come portalettere quando ci sediamo all’ombra e comincia a raccontare: “Mi son resa conto che l’ho quasi rimosso il periodo del terremoto” dice sorridendo. È una donna cordiale, veste in denim, ha i capelli ricci raccolti in una coda e scuote leggermente il capo, quasi a smuovere i ricordi. “L’oro degli eremiti”, così si chiama la pensione che da qualche anno gestisce con Sergio nel tempo libero, la cui ristrutturazione era iniziata poco dopo la prima scossa, quella del 24 Agosto, resistette anche alla seconda, la più forte. La notte prima della scossa avevamo teso l’ultimo tirante antisismico” dice, “L’ingegnere diceva che non era necessario, ma non si sa mai. Quella mattina in tanti già non dormivano più a casa” prosegue. “Io dormivo con le scarpe”. L’oro degli eremiti dovette attendere un altro anno prima di riaprire. “Ci siam dovuti fermare, lì ì danni psicologici sono stati forti”, aggiunge facendosi tutta d’un tratto un po’ più cupa. Mentre prosegue col racconto mi accorgo che le pause si allungano. “Desolante è la parola attuale” dice concludendo la frase. Ci racconta del turismo, settore trainante negli anni prima della scossa, a partire dall’inaugurazione del Parco dei sibillini. Oggi i negozi chiudono così” dice schioccando le dite con un gesto perentorio. E poi prosegue “Il marchigiano combatte, c’è la voglia di fare, il desiderio di restare, fare e dare. Poi si arrende alla gravità e si riappoggia allo schienale. Ma non basta, siamo soli, la forza c’è, ma manca il collante. Serve a poco il racconto della resilienza del macellaio in fondo alla strada, che è rimasto, ha lottato e ha riaperto il punto vendita pochi mesi fa, o ancora quello della fattoria la Rocca, che ha messo in piedi una filiera locale di produzione della lana, o della coppia bresciana che produce lavanda. “Nei primi anni era forte il senso di solidarietà umana. Era rincuorante, ristrutturante”. Scandisce con vigore le sillabe. “Ma ora…”. Si guarda attorno, senza finire la frase, sorride e ci ringrazia.

Le storie paiono essere parecchie, i nomi a cui dare un volto altrettanti. Dopo un breve incontro istituzionale con il sindaco, che ci restituisce una narrativa ben lontana dal catastrofismo che poche ore prima aveva caratterizzato quello con Michela, ci congediamo e rientriamo alla base operativa. Ironia della sorte, l’alloggio fornitoci dal comune è proprio una di quelle soluzioni prefabbricate che nei giorni e mesi successivi al sisma devono aver offerto rifugio a molti dei personaggi dei racconti di Michela. L’indomani mattina abbiamo appuntamento alle 10.30 con Luigi. Il punto di incontro sarà ovviamente ancora Piazza Risorgimento. Luigi Pisano è un bell’uomo sulla cinquantina, alto, elegante, indossa una camicia in maglia blu notte abbottonata a metà e dei pantaloni in cotone in tinta. Mentre ci dirigiamo verso il Museo del Paesaggio di Amandola risalendo dalla Piazza verso Via Indipendenza, incomincia a raccontarsi. Restauratore ed ex professore di restauro presso la facoltà di Beni Culturali dell’università di Ancona, è arrivato ad Amandola dopo il terremoto, rispondendo alla chiamata del sindaco, e di un patrimonio culturale, quello della sua terra, che tanto necessitava delle sue cure. Dopo aver riconvertito a deposito alcune sale di una struttura comunale che sarebbe poi divenuta il museo, ed averle rese adatte ad ospitare in sicurezza e conformità alle disposizioni statali affreschi, dipinti, crocifissi, statue in cartapesta, pale d’altare e manoscritti delle più svariate epoche, Luigi aveva colto l’opportunità per innestare un circolo virtuoso che sarebbe poi divenuto vero successo politico e culturale di quella piccola impresa in cui si era imbarcato.

Attivando una convenzione con l’università presso la quale insegnava, aveva messo in piedi un laboratorio di restauro presso la struttura dove era conservato il patrimonio danneggiato, dando la possibilità a studenti e neolaureati di svolgere attività di tirocinio esercitando le proprie competenze su quello stesso materiale, riuscendo così in poco tempo a restaurare un gran numero di esemplari. Ultima fase di quel perfetto meccanismo quasi fordista era stata proprio l’istituzione del Mu6, il Museo del Paesaggio, dove ospitare ed esporre le opere restaurate. L’estate scorsa abbiamo avuto oltre mille visitatori ci dice Luigi con un certo moto d’orgoglio mentre si passa la mano fra i capelli grigi ancora folti e ci guida fra i corridoi del museo, schiudendo le pesanti porte di metallo oltre le quali si celano le opere. Nella penombra di una delle stanze deposito, mentre Alice gode della luce calda che si insinua furtiva e silenziosa fra le fessure delle persiane, mi guardo intorno con stupore e fascino quasi infantili. Davanti a me si ergono numerose statue, che Luigi mi rivela essere di cartapesta, materiale molto complesso da restaurare, aggiunge. Sono effigi di arte sacra. Molte di esse giacciono plasticamente sul pavimento rialzato della stanza, quasi in segno di resa, altre si ergono resilienti. In un curioso quanto stridente incontro fra sacro e profano, alcune delle sculture mostrano controvoglia gli atti che immagino essere evidenza della loro catalogazione. Dalle mani giunte di una Madonna in rosa pastello, il cui capo è coperto da un velo turchese, pende una busta in plastica che porta al suo interno un foglio intestato con la dicitura in italico del Ministero dei Beni Culturali. Poco più a destra un accessorio simile cinge in maniera quasi blasfema il collo minuto di un Bambin Gesù in braccio ad un’altra Madonna. Ci spostiamo poi in una stanza ben più luminosa, “quella dove avviene la magia”, dice quasi ammiccando Luigi. Al centro della stanza si prende la scena un grande tavolo sul quale campeggiano tre cornici barocche, probabilmente in attesa di restauro.


Davide Lhamid è un fotografo documentarista originario della provincia di Varese. Formatosi fra Milano e Londra, dopo una laurea triennale in Sociologia, si specializza nella fotografia di reportage, incentrando la sua ricerca su tematiche sociali, con una particolare attenzione alla questione migratoria.
Alice Zorzin (1996) è una fotografa documentarista con base nel Nord Italia. Dopo la laurea in storia dell’arte contemporanea, decide di dedicarsi completamente alla fotografia. Nei suoi progetti personali Zorzin analizza il rapporto tra uomo e natura e narra di questioni climatiche e ambientali. Attualmente sta portando avanti due progetti a lungo termine riguardanti, il primo, i giovani nati, cresciuti e che hanno deciso di restare a vivere in montagna e, il secondo, un parassita che sta distruggendo le foreste alpine e la sua economia.


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