#Webinar EllePì – E se non ci togliessero il lavoro? Lavoro e immigrazione al di là degli stereotipi – 30 marzo 2023 – ore 17:00

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I dati parlano chiaramente: il numero di immigrati che arrivano in Italia è sempre meno e chi ne ha la possibilità preferisce andarsene. Un trend negativo che fa dell’Italia un “Paese Pit Stop”: un paese poco attrattivo, non in grado di offrire opportunità e ragioni sufficienti per restare per quanti vanno alla ricerca di una condizione socio-economica migliore e di maggiori opportunità di vita. Gli immigrati regolari in Italia sono 5,2 milioni con un impatto di grande rilievo sull’economia che ammonta a quasi 144 miliardi, ovvero il 9% del Pil che, prima del Covid, arrivava al 9,5%. Se il tasso di immigrazione è diminuito, segue una discesa dei numeri anche tra gli occupati passando dal 10,3% del 2019 al 10% attuale. Quelle che sembrano delle differenze lievi sono in realtà profondamente significative soprattutto per alcuni settori dell’economia italiana come agricoltura, edilizia e turismo, dove il contributo dei lavoratori immigrati è fondamentale.

Una situazione opposta interessa, invece, il piano dell’imprenditorialità: secondo uno studio condotto da Unioncamere dal 2020 a marzo 2022, un’azienda su dieci è guidata da stranieri. Si parla di più di 600 mila imprese disseminate sul territorio, con maggiore incidenza nel nord e nel centro Italia. L’imprenditorialità immigrata ha visto, nel corso degli anni, una crescita esponenziale che non ha incontrato crisi durante la pandemia. Le aziende straniere impattano positivamente sul territorio in cui sorgono poiché occupano spazi lasciati dagli imprenditori autoctoni ed il bagaglio culturale di chi le gestisce – diverso da quello italiano – ne favorisce in alcuni casi la competitività e l’internazionalizzazione.

Questi dati si scontrano profondamente con gli stereotipi più diffusi che si radicano su una visione distorta e quasi parassitaria del rapporto che lega migranti e lavoro. Il lavoro “migrante” è oggigiorno indispensabile poiché investe la maggior parte delle professioni che gli abitanti autoctoni non desiderano svolgere e una loro assenza sul mercato del lavoro sarebbe destinata a portare inevitabilmente con sé grosse sofferenze economiche. Questo poiché anche l’imprenditorialità italiana sta vivendo una profonda crisi interna: gli imprenditori sono pochi e danno poco lavoro.

Una realtà che, come si è visto, si scontra con i successi dell’imprenditoria straniera che, nel suo piccolo, è in grado di generare posti lavoro – anche per gli stessi italiani – e produrre ricchezza. Il lavoro migrante, dunque, è indispensabile per il nostro paese e contribuisce in maniera decisiva al nostro sistema previdenziale il quale, se lasciato unicamente in mano agli italiani, sarebbe insostenibile. Perdere il lavoro migrante significa, quindi, perdere posti lavoro, perdere ricchezza, perdere uno dei motori di sostentamento dell’economia del nostro Paese; significa perdere un capitale umano generativo in termini economici e culturali, il tutto a discapito delle generazioni che verranno.

Cosa possono fare le istituzioni per favorire l’imprenditorialità straniera? In che modo favorire una maggiore inclusività? Quali sono, nello specifico, gli effetti positivi sull’economia italiana? Che impatto potrebbe esserci sulle pensioni? Come creare opportunità e rendere l’Italia un Paese nuovamente attrattivo?



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