#Blog EllePì – I migranti non “rubano il lavoro”, anzi. Producono ricchezza ma sono sempre più poveri
Che “gli immigrati ci rubano il lavoro” sia un falso mito è cosa nota non solo agli economisti e agli studiosi sociali, ma anche a chi lavora. Allora come mai questa “balla” continua a fare proseliti? Primo, perché spesso ce li ritroviamo davanti nella vita di tutti i giorni, e sembrano tanti. Sono gli operai, i camerieri, i facchini per le spedizioni e i lavoratori stagionali. In effetti, i migranti lavorano in condizioni peggiori degli italiani, e i dati riportano che sono più sovra istruiti degli italiani e anche più sottoccupati. Svolgono un’ampia gamma di lavori imprescindibili: sono il 15,3% degli occupati nel settore degli alberghi/ristoranti, il 15,5% nelle costruzioni, il 18,0% in agricoltura e ben il 64,2% nei servizi alle famiglie, dove quasi i due terzi degli addetti sono stranieri. Settori che senza stranieri entrerebbero in profonda crisi, senza parlare dell’apporto diventato ormai essenziale per il sostentamento degli anziani che è realtà per molte famiglie italiane.
È quindi logico che li si noti, sono di più. Vero, ma nei posti peggiori. Anche se sia italiani che stranieri risultano maggiormente impiegati nel settore dei servizi, in particolare le donne, gli uomini stranieri sono largamente impiegati anche nel settore industriale (35,2% degli italiani e 43,3% degli stranieri) e molti uomini sono lavoratori agricoli (8,9%). Una quota che, stando ai dati del ministero del Lavoro, sale al 12,6% se consideriamo solo gli extracomunitari. Secondo i dati presentati nel dossier Idos sull’immigrazione del 2021, si arriva a oltre il 40% per alcune specifiche nazionalità, come quella indiana. Nel 2021 i cittadini di nazionalità straniera costituivano circa l’8,5% della popolazione italiana, ma oltre il 10% della forza lavoro del paese, il 9% del Pil, circa 140 miliardi di euro. Allora è vero che rubano il lavoro: no.
Pur lavorando di media più degli italiani, le famiglie in povertà assoluta sono nel 28% dei casi famiglie con stranieri e l’incidenza di povertà assoluta è al 25% tra le famiglie con almeno uno straniero, mentre tra le famiglie di soli italiani si ferma al 6%. Questo perché dalla fase di ripresa economica iniziata con la ricrescita del Pil nel 2015 e frenata bruscamente dalla pandemia, gli stranieri sono rimasti indietro. Per cui sì, gli immigrati lavorano più degli italiani ma sono pagati di meno.
Lavoro duro
Il Centro di ricerca sull’immigrazione Idos non poteva essere più chiaro: dei 2 milioni 423 mila occupati stranieri dal 2017 (10,5% di tutti gli occupati in Italia) ben i due terzi svolgono professioni poco qualificate, in ogni comparto. In Italia il rapporto tra donne italiane e straniere nel mondo del lavoro è di 9 a uno. Tra le collaboratrici domestiche, le immigrate sono il 72%, tra le badanti il 58%. Questo è il tipo di lavori che si riserva di norma agli stranieri: nel settore del commercio saranno gli ambulanti e i commessi (90% della categoria) e non gli imprenditori, nell’edilizia i manovali (30% del totale della categoria) e non gli architetti, nel settore agricolo i braccianti (29%) e non gli imprenditori agricoli. Secondo Idos, “gli agricoltori e gli operai specializzati sono invece nell’87% dei casi nati qui”, in Italia.
Lavoro sovra qualificato
A parità di lavoro, lo straniero, del Nordafrica come dell’Est, ha un vantaggio sul collega italiano. Lo dice l’Eurostat: “Nel 2020, il tasso di sovra-qualificazione dell’Ue era del 41,4% per i cittadini non comunitari e del 32,3% per i cittadini di altri Stati membri dell’Ue. Vuol dire che a parità di posto di lavoro, il forestiero, che sia marocchino, romeno, o bulgaro, ha perlomeno una marcia in più rispetto a un italiano”. Infatti, il 36,4% degli stranieri in Italia svolge un lavoro manuale non qualificato. Ed è una costante in Europa: i lavoratori nazionali sono meno qualificati degli stranieri perché le condizioni di assunzione sono più vantaggiose. Il dato è lampante nella comparazione tra lavoratori italiani e stranieri. Secondo Eurostat, “nel 2020 il 18% degli italiani svolgeva un lavoro che richiede qualifiche più basse rispetto a quelle possedute, mentre il dato saliva al 47,8% nel caso degli stranieri comunitari e al 66,5% tra quelli non comunitari”.
Enrico Mascilli Migliorini è nato ad Avellino nel 1994, si è laureato in Storia a Firenze con una tesi sui libri proibiti e, successivamente, per la laurea magistrale ha realizzato una tesi di Archivio sugli zingari a Bologna in età moderna. Ha scritto per la rivista dell’Università Pablo de Olavide di Siviglia (SPA), per l’Università di Leeds (Uk), per la Rivista di studi Napoleonici e per Il Ducato, testata dell’istituto per la formazione al giornalismo di Urbino. Dal novembre 2021 collabora con la redazione de Il Fatto Quotidiano. Da marzo 2023 è un ricercatore Cnr-Irpps