#TerraTerra – Sulla via fiorentina di Bacco – 2a tappa

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In questa seconda tappa del loro viaggio “Quelli con lo zaino grosso” arrivano a Castagno D’Andrea, alla ricerca del vino buono e del modo più sostenibile per farlo.

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Veduta panoramica delle cime sopra Castagno d’Andrea, Toscana, maggio 2021

Il concetto di sussistenza caratterizza fortemente le comunità contadine, molto prima che parole come città prendessero senso. Se prima era una condizione necessaria alla vita di una famiglia, oggi rappresenta anche una scelta di lotta contro le dinamiche soffocanti della società moderna. Spesso questa scelta, nell’Appennino toscano, si manifesta al mercato della Fierucola, a Firenze, dove agricoltori indipendenti riescono a vendere direttamente i loro prodotti, senza passare per la grande distribuzione. Inoltre, questa è un’occasione importante per incontrarsi, scambiarsi idee e condividere le storie con gli altri contadini che abitano le montagne.

Arriviamo a Castagno D’Andrea verso le 14:00. Ad aspettarci c’è Davide, un viticoltore con cui abbiamo parlato al telefono. “Siamo quelli con lo zaino grosso, non puoi sbagliare” avevo spiegato io. In effetti non ci mettiamo molto a riconoscerci. Davide ci viene incontro e ci sorride bonario. Ci aiuta a caricare tutto in macchina, una Honda blu station wagon. È un uomo sulla quarantina, non molto alto, ma con una corporatura robusta. Capelli e barba sono lunghi, cinerei, dello stesso colore della Winston che ha appena finito di fumare e spegne su un posacenere a lato del marciapiede, indossa dei jeans comodi e una camicia color salmone, protetta da una giacca a coste marrone.

Davide, Castagno d’Andrea (Toscana), maggio 2021

Lungo il tragitto verso casa, parliamo un po’ di vino e sul modo più sostenibile per farlo. “Il vino naturale è quello che non utilizza nessun tipo di diserbante o additivo chimico nella produzione. I solfiti non vengono aggiunti, ma sono presenti solo quelli che crea naturalmente l’uva. Oggi il vino naturale è diventato una moda, per questo poi trovi delle bottiglie di vino a prezzi folli. Si sono dimenticati che il vino è prima di tutto un pasto, prodotto della natura, mica un bene di lusso. Che senso ha comprare una bottiglia che costa sessanta o settanta euro?” Racconta Davide nel suo inconfondibile dialetto toscano. “È giusto pagarlo bene, perché c’è la fatica dietro, c’è una filosofia e ci sono le persone che ci hanno lavorato. Ma quando tu una bottiglia la paghi diciotto/venti euro, può anche andar bene no?”. Mentre Davide ci parla, intorno a noi il paesaggio che scorre dal finestrino si fa sempre più verde, le case più rade ma con begli orti coltivati e diverse vigne esposte al sole delle tre, caldo e afoso. Siamo in zona Mugello, e quella che vediamo avvicinarsi di fronte a noi è la valle Falterona, che prende il nome dal monte che si erge a sua protezione.

Arriviamo in una sterrata impervia, con ciottoli e sassi pesanti, li sentiamo sotto di noi, con la Honda che macina e li schiaccia facendoci sobbalzare. Poco più in là, il podere dove Davide vive con la sua famiglia. Ci viene subito incontro un cagnolino scodinzolante, a darci il benvenuto. “Guardala la Zoe, la guardiana di casa”. Ci sistemiamo dentro e conosciamo Ombretta, compagna di Davide, che è appena tornata dal lavoro e si sta mangiando un boccone. Porta dei capelli castani slegati e un paio di occhiali che danno un tono serioso al suo viso sereno e disteso. “Da dove arrivate ragazzi?” La sua voce è pacata ma decisa. “Siamo partiti dal Passo della Futa l’altro ieri. Abbiamo attraversato un tratto delle foreste Casentinesi e siamo sbucati al Passo del Giogo. La pioggia e il freddo non ci hanno permesso di proseguire, così ieri ci siamo fermati a San Piero a Sieve per la notte. Poi oggi ci siamo diretti a Dicomano, dove Davide ci è venuto a prendere”. “Ah San Piero a Sieve! Abbiamo vissuto anche là per un periodo, me lo ricordo.” Davide si accende una sigaretta e mette su la moka. Appare un ragazzetto esuberante dalla porta della sala, con la faccia vispa coperta da un nido di capelli neri, legati dietro con un elastico a formare un piccolo codino. Forse attratto dai nuovi ospiti e dal vociferare che veniva dalla cucina o forse semplicemente dalla fame, Leo, il figlio più piccolo di Ombretta e Davide, si presenta a noi con personalità. “C’è rimasta un po’ di pizza?” Esordisce il nuovo arrivato. In pochi istanti abbiamo già conosciuto quasi tutti i membri della famiglia, a parte Sofia, la figlia più grande. “Chissà oggi se si farà vedere” scherza Ombretta. “Ultimamente sta sempre chiusa in camera con le cuffie, esce solo per mangiare o fare i compiti la mattina”. “Vi faccio vedere dove appoggiarvi per la notte, così vi sistemate. Riposatevi e ci vediamo dopo”. Accogliamo la proposta volentieri e decidiamo di approfittarne per risistemare un po’ anche il materiale raccolto in questi giorni.

Ombretta, Castagno d’Andrea (Toscana), maggio 2021

Troviamo Ombretta in giardino, vicino al pollaio, che sta dando da mangiare agli animali. Diverse galline scorrazzano qua e là, lottandosi i resti di lattuga e fave che lei lascia cadere da un secchio bianco. Il pollaio è grande, diviso in due parti da un cancello. Dall’altro lato ci sono le due capre, che Ombretta libera e porta con sé a pascolare. Davide lo troviamo invece in sala, mentre sfoglia le pagine di un libro di Jean Giono. Il fumo di una sigaretta spenta da poco addensa l’aria e crea singolari forme con la luce del sole che penetra dalla finestra.

La biblioteca dietro di lui è fitta di libri, spesso consumati, alcuni sgualciti. Il segno di letture intense, notti fumose e pagine ingiallite. Spesso sono autori e libri sulla terra e sulla comunità agricola come Angelini o Repetto, ma troviamo anche molte storie partigiane, romanzi d’autore e testi di filosofia. Prendo spunto da questi per le mie letture alla radio. Ogni mercoledì alle 14:30 faccio delle letture su Radio Contado. Mi piace, mi diverte. Questo libro in particolare è quello su cui abbiamo basato uno spettacolo teatrale”. “Fai teatro?” “Si! Con Giovanni ed Emiliano. Facciamo il Teatro Contadino Libertario, un teatro di prosa i cui testi e la messa in scena è curata completamente da noi. A volte ci ispiriamo a storie legate alla terra di autori o scrittori, altre le inventiamo noi. Scriviamo la sceneggiatura, le partiture fisiche e prepariamo i costumi. Ci aiutano anche le nostre compagne a comporre tutto”. “E dove li portate?” “Mah in realtà un po’ dovunque, dove ci chiamano. Firenze, Bologna, Roma… siamo stati anche in un paesino in Molise. Dove ci sono realtà contadine interessate, noi andiamo. Abbiamo anche avuto una collaborazione con un gruppo di Bruxelles, portando uno spettacolo anche là. Ci siamo uniti a questi attori belgi e abbiamo recitato un po’ in francese e un po’ in italiano. Abbiamo dovuto imparare alcune parti in lingua, dovevi vederci. Ci prendevano in giro quando provavamo a parlare francese, ma anche loro non è che fossero tutta questa bravura in italiano” ride Davide, mentre spegne il mozzicone sul posacenere. “Abbiamo lavorato anche su questo testo” mi mostra il libro che sta sfogliando, ‘Lettera ai contadini sulla povertà e la pace’. “Siamo partiti da un’idea presa dal libro e l’abbiamo sviluppata dividendoci in tre personaggi narranti” sembra molto appassionato mentre ci parla delle esperienze del Teatro Contadino e dei racconti partigiani dei suoi libri.

Ha partecipato ai vari movimenti dei centri sociali di Firenze, insieme al suo amico di sempre Emiliano, quando era ventenne. È lì che ha conosciuto Ombretta. Insieme hanno condiviso le lotte politiche e gli ideali che tutt’ora portano avanti. Se stabilire le loro famiglie nella valle ha radicato la loro prospettiva sul territorio, il Teatro oltrepassa i luoghi quotidiani diffondendosi altrove. “Al momento non stiamo lavorando ad altri progetti, abbiamo prodotto dieci spettacoli negli ultimi dieci anni, uno all’anno, poi tra il Covid e la distanza con Giovanni soprattutto, non è facile vedersi e organizzarsi. È il nostro blocco dello scrittore” scherza Davide. Al momento è fermo anche con la produzione del vino, si sta organizzando con un amico per avviare quest’anno un nuovo vitigno. “Avevamo una società prima, facevamo vino naturale. Poi abbiamo litigato tra di noi, ognuno per i propri motivi, e abbiamo abbandonato il progetto. Ora stiamo ripartendo con Matteo, abbiamo individuato il terreno giusto, ben esposto al sole e in posizione ottima. Presto faremo analizzare la terra e cominceremo i lavori di preparazione. Nel frattempo, finiamo questo” mi mostra le ultime bottiglie dell’ultima produzione sorridendo.

Attraversiamo il bosco vicino casa, prendendo un sentiero di terra segnato dal CAI. Alberi fitti e piante officinali ricoprono il sentiero, e fanno ombra a tutto il percorso. Passiamo sopra un ruscello. “Questo viene dalla cascata di Calabuia, una pozza d’acqua meravigliosa dove d’estate andiamo a fare il bagno. Vi ci porto questi giorni magari.” Con noi al seguito anche Zoe, che ci accompagna lungo la strada e fa da apripista davanti a tutti. Arriviamo ai piedi di questo podere molto grande. Un cancello di legno e acciaio ci divide dal giardino antistante. “Emiiii! Sabriiii!” La voce di Davide sembra non avere un destinatario. A piccoli passi, invece, spunta una donna, sorridente. Con lunghi capelli neri e un volto olivastro. Porta un pile rosso e dei pantaloni neri, coperti parzialmente da calosce fino al ginocchio. “Venite, vi apro!”

Leo difronte casa sua con i cani Zoe e Lillo, Castagno d’Andrea (Toscana), maggio 2021

Entriamo e ci sistemiamo nelle sedie fuori in veranda, il caldo ci permette di godere un po’ di tempo seduti fuori a conversare. Ci disponiamo in un tavolo grande di legno, osservando intorno a noi la struttura. Grandi travi di legno si poggiano sul podere in muratura, l’entrata dell’abitazione di fronte a noi con una portafinestra, adornata con vasi di piante aromatiche ai lati e ceste di vimini inchiodate al muro. Dietro di noi, una piccola statua di un Buddha in pietra, che riposa sopra una botte. Un invito alla quiete. Sabrina sembra prenderlo alla lettera, spiegandoci con calma le attività che svolgono quotidianamente. “Abbiamo l’orto familiare, che potete vedere là” invita Sabrina con un gesto della mano, indicando proprio davanti alla facciata della casa. “Da lì deriva il principale sostentamento, con le diverse coltivazioni di patate, piselli, fave, cipolle e aglio, carote, pomodori, insalate. Abbiamo anche una piccola parte coltivata a zafferano. Cerchiamo di stare attenti alla biodiversità, alternando le colture e cambiandole spesso di posto”.

Inoltre, si prendono cura delle api che abitano le arnie a qualche chilometro da lì. Il miele prodotto, principalmente di castagno, viene venduto alla Fierucola e ai mercati indipendenti della zona. Delle api se ne prende cura in particolare Emiliano, che nel frattempo fa capolino dall’orto e viene verso di noi. Il cambiamento climatico e le conseguenti primavere rigide hanno profondamente condizionato lo stato di salute delle api e la loro produzione di miele. “E’ un disastro. Mi sono morte tantissime famiglie.” Esordisce Emiliano. “Sono ormai sette anni che non si ha una produzione di miele importante. Ora lo stiamo ridando alle api per sfamarle, perché con questo clima non possono uscire e impollinare. ”Capiamo subito che l’argomento apicoltura in questo periodo è meglio evitarlo. Emiliano è un uomo sulla quarantina, alto e con i capelli rossicci. Il viso corrucciato si scontra spesso con le sue espressioni divertenti e il carattere scherzoso che lo contraddistingue. “Nemmeno la piramide energetica mi può aiutare” tronca il discorso Emiliano, burlandosi di sé stesso e del destino beffardo.

Sabrina e Emiliano negli orti della loro casa, sotto la piramide energetica, Castagno d’Andrea (Toscana), maggio 2021

La piramide energetica è un’impalcatura di quattro assi di legno disposte a piramide, con la punta in rame, alla cui sommità sono attaccate un palco di corna di cervo. Sotto la punta, attaccata con la colla, si trova la carta dei tarocchi del matto. La piramide si trova sulla collinetta più alta della casa. Grazie ad una sedia messa lì sotto, si può osservare tutta la casa e il monte Falterona proprio di fronte, ma soprattutto rilassarsi e godere di tutte le buone energie e vibrazioni che la punta riesce ad immagazzinare. Un buon simbolo della personalità seriosa e scanzonata di Emiliano. Lui e Sabrina si sono conosciuti ai tempi dell’università e insieme hanno condiviso le esperienze giovanili di militanza e le idee di vita in campagna, lontano dalle stringenti e malate abitudini della città. Hanno due figlie, Petra e Anita, entrambe studentesse. Se con il miele negli ultimi anni non sta andando benissimo, per fortuna il castagneto che si trova dietro il loro podere frutta invece molto, dando la possibilità non solo del fabbisogno familiare ma consente anche la vendita dei vari prodotti ricavati.

“Abbiamo la crema di marroni, la farina di castagne, i marroni sciroppati… e il miele ovviamente. Poi ve lo faccio provare. Adesso vi faccio vedere il campo di grano” suggerisce Emiliano con una punta di orgoglio. Attraversiamo la casa e usciamo dal cancello. Dopo un breve tratto di sterrata, entriamo di nuovo in un campo a sinistra, da una porta fatta con la rete di un materasso. Un bel campo monocoltivato si para di fronte a noi, in fiore. Ordinato e fitto, il campo coltivato con il seme di un grano antico è sicuramente un altro aspetto su cui Emiliano e Sabrina contano molto. “Questa tipologia si chiama Bolero, ci piace tantissimo, dovreste vederla quando inizierà a spigare. Vorremmo essere totalmente indipendenti anche dal punto di vista delle farine, così da produrre il nostro pane e utilizzare il grano per il fabbisogno della famiglia”. L’autosufficienza è quello che cercano di raggiungere, senza più dover passare per il supermercato e i suoi prodotti industriali. “Siamo ancora a metà strada, ma ci stiamo arrivando” rassicura Sabrina.
“L’hai prese le vanghe?”
“Sì.”
“Le piccozze?”
“Pure”
“Apposto, allora te vai con Francesco, io e Marta vi raggiungiamo dopo che passiamo al mercato.”
“Ah cazzo il vino!”
“Eccolo, l’ho preso io!”
“Sicura che non vieni Sofia?”
“Noooo!”

Emiliano e Davide lavorano sulla strada sterrata nel bosco, Castagno d’Andrea (Toscana), maggio 2021

Siamo diretti da Edith, una ragazza di origini trentine che si è trasferita da poco qui nella valle, dopo che suo zio è morto e lei ha deciso di vivere nella sua casa. Se l’abitazione permane in buono stato, lo stesso non si può dire della strada che la collega con l’esterno: una frana, causata dalle piogge delle ultime settimane, impedisce il facile accesso impedendo a Edith di muoversi liberamente. Il sentiero, già fangoso e scosceso, con l’eccesso di acqua cede e rende pericolosa la viabilità. Per questo si è formata una squadra speciale di una dozzina di amici e abitanti della valle che oggi, armati di piccozze e vanghe, creeranno dei canali di scolo dell’acqua lungo tutto il percorso che arriva alla casa. In cambio, un pranzo di canederli offerti da una vera Triestina doc.

Ci siamo uniti alla causa e seguiamo i lavori. Ci dividiamo in piccoli gruppi lungo tutto il sentiero, scavando fossette di scolo e canalette che portano giù fino al vicino torrente. Uomini e donne, disposti in tre o quattro, ognuno con un attrezzo da scavo, uniscono il tratto fino alla casa. Come un lungo filo umano, le persone piccozzano con gran forza smuovendo la terra, dandosi il cambio e scorrendo in giù a mano a mano che le fossette vengono completate. La giornata è calda, ma le grandi querce e i faggi intorno fanno ombra e regalano qualche sospiro di vento, rendendo la fatica più piacevole. Di tanto in tanto si lancia un coro partigiano, per dare ritmo al lavoro. Emiliano è il sobillatore, che incita i compagni a cantare e unirsi alla sua voce. Viene anche citato Gaber ad un certo punto, col suo celebre pezzo “qualcuno era comunista”.

La tavolata del pranzo a casa di Edith dopo il lavoro collettivo, Castagno d’Andrea (Toscana), maggio 2021

Lavoriamo tutta la mattinata, e a mezzogiorno il lavoro è concluso. Si raggruppano gli strumenti e ci si avvicina a casa di Edith, dove già da un’ora si sta allestendo il pranzo. Un lungo tavolo apparecchiato con salumi e formaggi ci dà il benvenuto. Ci sistemiamo a tavola e piano piano, tra un bicchiere di vino e una portata, riprendiamo le forze e ci rilassiamo. È stata una giornata simbolo di ciò che Davide ed Emiliano ci raccontavano di voler costruire: una comunità contadina, dove il lavoro del singolo può essere utilizzato al servizio degli altri. Dove la fatica unisce e non divide e i frutti del lavoro vengono condivisi. Edith è felice, è parte integrante della comunità di Castagno D’Andrea e può contare sull’aiuto e la presenza dei suoi conterranei. “Stare qui è una lotta, non arrivi e ti sei sistemato, si lotta tutti i giorni.” Nelle parole di Emiliano, si racchiude l’anima della valle Falterona e dei suoi abitanti.



Marta Sparvoli nasce a Fabriano nel 1998. Frequenta il corso di Didattica e Comunicazione dell’arte nell’Accademia di Belle Arti di Bologna trasferendosi nella città e partecipando alla realizzazione di due mostre collettive. Dal 2018 numerosi viaggi la portano ad interessarsi a tematiche sociali e antropologiche, iniziando progetti personali di ricerca fotografica. Nel 2020 frequenta la Scuola di letteratura e fotografia Jack London dove studia le tecniche di reportage. Attualmente è impegnata nel progetto di reportage fotografico Terra Terra.

Francesco Tavoloni nasce ad Ancona nel 1992. Si laurea in Lingue e Culture Straniere a Roma nel 2017. Nei suoi viaggi utilizza la scrittura come metodo di ricerca ed espressione. Si avvicina al reportage a Lisbona, dove vive e lavora fino al 2019, producendo il suo primo documentario, dal titolo “Un Giorno Felice”. Nel 2020 frequenta la Scuola di letteratura e fotografia Jack London. Attualmente impegnato nel progetto di reportage Terra Terra.


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