#TerraTerra – Biforco e gli orti dove si celebra l’armonia tra uomo e Natura – 1a tappa


Il viaggio di Marta Sparvoli e Francesco Tavoloni è cominciato. I due studenti della Scuola Jack London sono partiti zaino in spalla, grazie a un progetto finanziato dalla Fondazione Lavoroperlapersona per esplorare il cuore degli Appennini. In questa prima tappa ci portano a Biforco, dove la campagna riunisce le famiglie come una volta.

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Il bosco lungo il sentiero per la Vallesanta, Appennino toscano, maggio 2021

Arriviamo a Badia Prataglia al mattino, lasciandoci alle spalle Bibbiena, dove abbiamo fatto tappa per la notte. Il piccolo borgo si sviluppa tutto in una piazza, circondata da attività commerciali, a cui ci avviciniamo per conoscere il territorio. Qui la vita si alimenta attraverso il turismo di camminatori ed escursionisti, essendo Badia un punto di snodo di molti sentieri CAI. “Qua di agricoltori non ce ne sono, dovete scendere a Biforco… lì qualcosa trovate” intima la commessa di un alimentari. Accogliamo la proposta, mentre l’odore di salumi e formaggi locali ci dà il benvenuto nella Vallesanta.

Attraverso la strada provinciale, raggiungiamo Biforco in un paio d’ore. Oggi il tempo è clemente, il sole crea giochi di luce e ombre sull’asfalto e illumina il Monte Fatucchio di fronte a noi. La salita iniziale del paese ci coglie stanchi e i nostri zaini carichi non ci aiutano. Devono essersene accorti Davide e Malika, che vedendoci percorrere la strada di entrata nel borgo, ci accolgono subito in casa per un caffè. Le pareti in legno e la stufa accesa ci mettono subito a nostro agio e creano l’atmosfera giusta per una prima conoscenza. Davide e Malika si sono conosciuti a Milano, quando frequentavano la facoltà di Chimica.

Il casolare di Capannacci, Capannacci (Toscana), maggio 2021

La vita in campagna, lontano da quella metropoli congestionata, l’hanno sempre sognata. Insieme hanno trovato a Biforco la dimensione giusta per realizzare il loro sogno e crescere la figlia Thais. “Le pareti le abbiamo colorate noi, creando questa miscela di pigmenti, che danno luce alla casa e resistono molto a lungo. Dovrebbe essere una ricetta svedese”. Spiega Malika ai nostri occhi curiosi. Mentre lei racconta di sé e del paese, Davide, seduto di fianco, sembra perso nei suoi pensieri e si ritrova di tanto in tanto con dei cenni assertivi con la testa. La chimica e la passione per la terra non sono gli unici caratteri che li uniscono.

Malika e il gruppo di musicisti suonano canzoni folcloristiche durante un compleanno, Biforco (Toscana), maggio 2021

La passione per la musica è un elemento altrettanto forte. “Suono il clarinetto qua con la band di Biforco” racconta sogghignando Davide. “Abbiamo un gruppo con cui suoniamo una volta a settimana qua in Vallesanta. Siamo tutti autodidatti più o meno, e si sente. “Il nostro nome di riserva è “Gli svuota pista”, si capisce il perché” continua Davide, con ironia. Malika, originaria di Tolosa, si occupa dell’orto familiare in primavera e in estate, mentre il resto del tempo lavora con il feltro, creando oggetti e abbigliamento per bambini. Il suo strumento musicale è la fisarmonica, che richiama un po’ la sua attitudine gipsy nel modo di porsi e nel vestirsi. Davide, invece, divide la sua attività di apicoltore con il suo lavoro ad Arezzo, come professore di Scienze e Chimica. Una scelta che non è stata facile da prendere, volendo restare il più possibile slegato dai legami con la società, ma svolge il suo ruolo con evidente passione per la materia.

La cucina della casa di Malika, Biforco (Toscana), maggio 2021

Raccontiamo un po’ di noi e del nostro viaggio, condividendo le storie di altre persone come loro che hanno scelto questa vita, disseminate su e giù lungo l’Appennino. “Andiamo. Vi faccio vedere dove dormirete stasera” interviene Malika. Lasciamo gli zaini e attraversiamo il piccolo borgo, salutando qua e là i vari personaggi che incontriamo. Il paese si sviluppa tutto in una strada, con le varie case disposte a schiera intorno. Piante di sambuco e di rose fanno capolino tra un’abitazione e l’altra, quasi a tracciare un profumato confine. Arriviamo in poco tempo in un giardino, dove vediamo gli utensili da lavoro sparsi a terra, e un campo lavorato grossolanamente. Un container di piccole dimensioni, spunta dietro un albero di fico. “Eccoci. Vi potete fermare qua stanotte”.

Il sentiero che porta a Capannacci è ben segnalato, salendo su dalla piazza principale di Biforco. Sono due grandi tornanti in mezzo alla montagna, uno a destra e uno a sinistra, e poi una deviazione sulla destra, appena prima del bivio per Serra. Decidiamo di farlo in questa mattinata dal cielo incerto, che minaccia pioggia. Il tempo perfetto per le nostre foto. Per quanto facile e corta, riusciamo a perderci, arrivando quasi all’imbocco per Doccione. Tre chilometri in più sulla tabella di marcia. Arriviamo da Nimai, Marco e Pietro intorno a mezzogiorno. I ragazzi di Capannacci sono alle prese con lo sgorgo di una cisterna d’acqua, che servirà loro per innaffiare il campo attiguo. Nimai è il primo, assieme alla sua compagna Laila e ai loro tre figli, ad essere arrivato a Capannacci un anno e mezzo fa. Subito dopo li hanno raggiunti sua sorella Syama e il suo compagno Marco con il figlio. L’ultimo è stato Pietro, amico di Marco, che ha deciso di fermarsi lì con la sua yurta. Ci accompagnano al loro podere, dove Laila ha già disposto tutto per il pranzo. La struttura è divisa in due per ospitare entrambe le famiglie in spazi diversi, in attesa che la parte più vecchia venga ristrutturata.

Nimai e sua figlia accarezzano l’asino dopo l’aratura, Capannacci (Toscana), maggio 2021

Nimai racconta che sognava questa casa da quando era arrivato in Vallesanta. Viveva poco più in basso e la vedeva ogni giorno, senza mai nessuno che la prendesse. Quando il prezzo si è abbassato e ha incontrato il proprietario, si sono finalmente sistemati qua. Essendo esposta benissimo al sole, è possibile sfruttare al meglio la terra, coltivando varie qualità di piante. Oltre all’orto di famiglia, con insalate, carote, cipolle, aglio, cavolo nero, fave, sedano e pomodori, Nimai e gli altri stanno coltivando a patate il pezzo di terreno di fronte al podere, sfruttando la trazione animale. “Abbiamo tre asini, vogliamo cercare di sostituire il lavoro meccanizzato per lavorare la terra con quello animale. Sfruttando la loro forza, educandoli piano piano al lavoro e ai ritmi, dovremmo riuscirci. Poi vi faccio vedere”. Spiega Nimai deciso. Laila, nel frattempo, ha preparato un pesto di menta, con altre insalate ed erbe del campo. Mangiamo tutti assieme, condividendo le nostre idee sulla valle e sulla complicità che potrebbe essere un valore aggiunto. “Se tutti qui in Vallesanta collaborassero, se ci aiutassimo tra di noi, sarebbe tutto diverso, tutto migliore. Ci conosciamo certo, ma quando c’è da aiutarsi e venirsi incontro, non è semplice. C’è un pò di individualismo”. Di tanto in tanto, si sente da fuori il ragliare degli asini, disposti di fronte alla casa.

Jamal nel canneto, Capannacci (Toscana), maggio 2021

Finito il pranzo, mentre ci si organizza per il lavoro, i bambini che fino a quel momento erano parsi tranquilli, si scatenano ora sul grande spazio intorno alla casa, rincorrendosi fra loro e inseguendo Shanti, il cane. Pralad, il più grande dei quattro, è il più rapido ed energico e coinvolge gli altri nel gioco. Jamal, invece, ben presto si stanca, e mostra interesse per le nostre macchine fotografiche. Seguiamo Nimai e gli altri nel campo, dove iniziano i lavori con Pippo e Gaia, i due asini. “Pippo è più vecchio e non ha mai lavorato, stiamo cercando di inserirlo ora con a fianco Gaia, per aiutarlo. Di forza ne ha, ha solo bisogno che ci sia qualcuno che gli faccia vedere come usarla”. In effetti, vederli in azione è incredibile. Pippo segue fianco a fianco Gaia nei movimenti, spinti da Nimai davanti, mentre Marco e Pietro si danno il cambio all’aratro. Quando Pippo mostra segni di cedimento, ecco che Nimai lo esorta con più forza e ogni tanto lo batte con un bastone per incitarlo. “Non mi piace usare la violenza con gli animali” racconterà più tardi, “Pippo veniva bastonato spesso dai suoi vecchi proprietari. Io a volte mi ci arrabbio, ma mi basta appoggiargli il bastone con un colpetto sul dorso e capisce subito.” Si intuisce che ci sia grande sintonia tra tutti, nella piccola azienda familiare, dal fatto che tutti partecipano al lavoro. Chi direttamente, chi come i piccoli Elan e Pralad giocando intorno al campo e osservando di tanto in tanto i loro padri in azione. Nimai cerca di delegare anche le azioni più semplici da compiere ai suoi figli, in modo da farli entrare a piccoli passi dentro al lavoro agricolo.

Nimai, Marco e Pietro lavorano con gli asini all’aratura della terra, Capannacci (Toscana), maggio 2021

Il campo di patate, con l’aiuto degli asini, è stato completato e Marco e Pietro tornano alla pompa d’acqua con cui erano impegnati al mattino. Nimai e Laila sistemano invece le ultime cose nell’orto. Il Monte Fatucchio di fronte a noi ha iniziato ad adombrarsi, alcune nuvole sono scese sempre più a valle, preannunciando pioggia. Iniziamo ad organizzarci per la notte, dovremmo fermarci a Serra, a pochi chilometri da qui. L’indomani potremmo già considerare di svalicare il Passo di Serra per raggiungere Balze e continuare il viaggio. Salutiamo le famiglie di Capannacci con la promessa di tornare a far loro visita questa estate. “Noi siamo qua” rassicura Nimai.



Marta Sparvoli nasce a Fabriano nel 1998. Frequenta il corso di Didattica e Comunicazione dell’arte nell’Accademia di Belle Arti di Bologna trasferendosi nella città e partecipando alla realizzazione di due mostre collettive. Dal 2018 numerosi viaggi la portano ad interessarsi a tematiche sociali e antropologiche, iniziando progetti personali di ricerca fotografica. Nel 2020 frequenta la Scuola di letteratura e fotografia Jack London dove studia le tecniche di reportage. Attualmente è impegnata nel progetto di reportage fotografico Terra Terra.

Francesco Tavoloni nasce ad Ancona nel 1992. Si laurea in Lingue e Culture Straniere a Roma nel 2017. Nei suoi viaggi utilizza la scrittura come metodo di ricerca ed espressione. Si avvicina al reportage a Lisbona, dove vive e lavora fino al 2019, producendo il suo primo documentario, dal titolo “Un Giorno Felice”. Nel 2020 frequenta la scuola di letteratura e fotografia Jack London. Attualmente impegnato nel progetto di reportage Terra Terra. 

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