Blog EllePì – Apprendistato, formazione e senso del lavoro
di Fabrizio d’Aniello
Colgo l’occasione determinata dalla lettura dell’intervento di Pier Luigi Celli per lasciare un commento teso ad evidenziare talune questioni attinenti all’enfatizzazione attuale sul ruolo dell’apprendistato, istituto che mi pare offrire indicazioni di sintesi utili circa i vari temi trattati in ordine al rapporto tra giovani e ingresso nel mercato del lavoro. L’apprendistato, infatti, con l’ultimo D.Lgs in materia ( 167/2011), viene rilanciato sia come opportunità rivolta all’occupabilità sia come volano di un più ampio sviluppo economico-sociale sia come leva ineludibile per il conseguimento degli obiettivi annunciati prima da Lisbona 2000 (knowledge economy) ed aggiornati con Europa 2020. Tuttavia, l’apprendistato, in Italia, non ha mai decollato sul versante prettamente formativo.
Non è successo con il pacchetto Treu del 1997 e non è successo con le tre tipologie individuate da Biagi nel 2003 (per l’obbligo d’istruzione, professionalizzante e per l’alta formazione). Perché questo? A mio modesto avviso, 1) perché il 95% delle imprese italiane sono micro (1-9 addetti) e la formazione per i giovani apprendisti, in contesti di produzione in cui i datori di lavoro risentono ancora dell’impostazione organizzativa taylor-fordista (la cui eredità e memoria, checché se ne dica, è ben viva a tutt’oggi), è perlopiù considerata un ostacolo produttivo; 2) perché tale eredità e memoria spinge, nonostante l’ingresso acclarato nell’economia della conoscenza e della complessità, ad accomunare i dipendenti a pezzi di ricambio sostituibili, strumenti dello strumento produttivo, invece di percepirne l’indispensabilità dello sviluppo professionale e personale insieme agli effetti del progresso e della resistenza sul mercato dell’azienda medesima; 3) perché, per gli stessi motivi, si assume un’apprendista soprattutto per gli sgravi fiscali che ciò comporta, riducendo ad un tempo la necessità della formazione a mera esigenza di addestramento strumentale; 4) perché il sistema della formazione esterna alle imprese risente di alcune lacune interne sotto il profilo della progettualità educativa e della valorizzazione globale della personalità formanda; 5) perché, ed è innegabile, scontiamo ancora oggi il retaggio della dicotomia otium-negotium. Tutto questo per dire che per “preparare la testa dei giovani”, come afferma Celli, occorrerebbe da subito ripensare al senso del lavoro, ormai ancorato ad una etica riduzionista che ha perso di vista il valore in sé della produzione a vantaggio del consumo im-mediato (produttore come consumatore consumato), rimarcandone il suo essere primariamente per la persona e della persona, per la sua crescita individuale, comunitaria e sociale, e ribadendone il suo configurarsi quale mezzo di realizzabilità umana. In vista di questo ripensamento, naturalmente, occorrerebbe: rivedere a monte l’agibilità (capability) del diritto alla formazione e all’apprendimento permanente, come capacità di agire quel diritto per fini disgiunti dai mezzi attualmente imperanti, ossia per fini propriamente umani (questione etico-antropologica); dunque, proagire culturalmente in direzione, non della decrescita inneggiata da Latouche, ma dello smarcamento dalle distorsioni utilitaristiche del mercato, favorendo e il confronto tra filosofia, pedagogia ed economia e la nascita di reali comunità di pratica in cui siano poste a negoziazione le istanze provenienti dall’educativo-formativo e dall’economico (in fondo non è ancora chiaro che una preparazione solo tecnico-specialistica non è più adeguata rispetto ad una che tenga insieme le premure performative e quelle di crescita personale e socio-relazione nel luogo di lavoro) (questione culturale); operare per una revisione della didattica professionalizzante, abbandonando la logica disciplinare-contenutistica per una didattica per competenze che sappia davvero celebrare l’unione di teoria e prassi (questione formativa).
Profilo dell’autore
Fabrizio d’Aniello è Professore Associato di Pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Macerata, dove ha insegnato Pedagogia del lavoro e dove attualmente insegna Pedagogia generale e Teoria e modelli dei processi educativi. Fa parte del Comitato di redazione della rivista pedagogica internazionale “Education Sciences & Society” ed è membro del Comitato scientifico della rivista pedagogica “Prospettiva EP”. Inoltre, dal 2004 al 2010 è stato ideatore dei testi e delle illustrazioni del mensile “Il Passatempo” (periodico di giochi ed attività per bambini da tre a sei anni) di proprietà dell’Editrice La Scuola di Brescia. Autore di numerose pubblicazioni, tra le sue più recenti sul tema del lavoro si segnala Pedagogia del lavoro e persona. Passaggi di stato della materia lavoro, Pensa MultiMedia, Lecce, 2009.