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Riconoscere le relazioni come motore delle organizzazioni

di Mario Losito

L’attuale configurazione degli scenari socio-economici e delle nuove emergenze sociali pone le organizzazioni nella condizione di dover ripensare e ridisegnare i propri assetti organizzativi, di attivare percorsi formativi mirati allo sviluppo e alla valorizzazione delle competenze, di avviare percorsi di sviluppo delle risorse umane. In tale contesto ciò che sembra apparire decisivo per le organizzazioni maggiormente esposte alla competizione è la capacità di innovarsi e di trasformarsi (Crozier, 1990; Hatch, 1999). La comunità di lavoro orientata all’innovazione può essere definita anche come una achieving community (McFarlane, Cook, 2002) che connette le caratteristiche dell’organizzazione ‘naturale’ (cioè emergente dalla dinamica dei gruppi sociali) con quelle dell’organizzazione ‘razionale’ (cioè un sistema aperto di regole razionali frutto di progettazione intenzionale) (Bonazzi, 1999).

In questo tipo di comunità, a differenza delle organizzazioni burocratiche, i processi di lavoro non sono eterodiretti e i processi sociali non sono compressi e marginalizzati, ma interagiscono positivamente fra loro. In questo tipo di comunità i processi di conoscenza e i processi sociali hanno obiettivi condivisi e sono posti in un framework organizzativo, composto da procedure, regole, sistemi anche ad alto livello di formalizzazione, da cui si ‘riparte per operare’ piuttosto che rappresentare le ‘norme per operare’ (Bonazzi, 1998).

Una achieving community è a sua volta una ‘struttura sociale’ e implica, in sintesi:

  • un comune sentimento di partecipazione;
  • interessi condivisi oppure positivamente mediati;
  • obiettivi significativi, risultati in parte comuni;
  • valori condivisi;
  • lealtà multiple: ai processi, alla professione, all’organizzazione di appartenenza.

Queste dimensioni sottese all’agire organizzativo sono presenti in varia misura nelle imprese grandi e in quelle piccole, nelle università, nei centri di ricerca che fanno parte di una rete: esse consentono alle persone di animare i processi e le unità organizzative, di dialogare e collaborare, di creare strutture.

Possiamo perciò affermare che nelle achieving community -entità alla base delle moderne strutture organizzative fondate sulla conoscenza e l’informazione- ‘i gruppi diventano l’unità di lavoro al posto dell’individuo’ (Drucker, 1994). Bisogna però riconoscere che anche nella forma di lavoro di gruppo più semplice e ricorrente, che richiede il contributo di più persone, ad esempio il meeting, è molto realistico affermare che il gruppo possiede una propria forma di intelligenza distinta rispetto alle intelligenze dei singoli membri (Williams, Sternberg; 1988). L’elemento più importante dell’intelligenza di gruppo, non è tanto la media delle intelligenze e competenze dei suoi singoli membri, ma è quello dell’intelligenza emotiva di ognuno di essi (Goleman, 1996). È la capacità di far funzionare armonicamente le varie parti del gruppo che lo renderà particolarmente dotato, produttivo e coronato dal successo, valorizzando i talenti portati ‘in dote’ da ciascun membro del gruppo (ad esempio, creatività, competenze tecniche, empatia…).

Può capitare anche però che un gruppo renda poco pur essendo costituito da membri che hanno talenti e abilità adeguate rispetto ai task del gruppo, questo perché le dinamiche interne allo stesso non consentono agli individui di mettere in comune le singole attitudini, capacità e doti. Ad esempio, i gruppi caratterizzati da più attrito nelle dinamiche interne sono molto meno abili nel trarre vantaggio dai membri più capaci. Invece, il fattore più importante per massimizzare il lavoro all’interno di un gruppo è la capacità dei suoi membri di creare uno stato di armonia interna, che consente di sfruttare e valorizzare tutti i talenti disponibili, soprattutto quelli dei membri più creativi e capaci.

Questa riflessione ha implicazioni generali per chiunque operi all’interno delle organizzazioni. Molto di quanto le persone riescono a realizzare sul lavoro dipende dalla loro capacità di fare appello a una rete di colleghi. Infatti, la necessità di svolgere compiti sempre più complessi rende necessario rivolgersi a membri e colleghi diversi, in grado di creare le condizioni più adeguate per mettere a fattor comune i contributi di ciascun membro del gruppo. La presenza di reti informali all’interno delle organizzazioni rende possibile la gestione di problemi imprevisti. Quando sorgono problemi inattesi, entra in azione l’organizzazione informale costruita su una folta trama di legami sociali, che nel tempo si solidificano dando vita a reti sorprendentemente stabili e adattive (Krackhardt, Hanson, 1993). Ragionando in maniera molto semplicistica, all’interno di ogni organizzazione esistono diverse tipologie di reti informali. Ne elenchiamo le tre principali:

  • reti di comunicazioni, chi parla con chi;
  • reti di competenza, basate sulle persone a cui rivolgersi per una consulenza tecnica;
  • reti di fiducia, basata sulle persone a cui rivolgersi per confidare i dubbi, le insicurezze e punti deboli.

Le ‘stelle’ di una organizzazione sono spesso coloro che riescono a tessere legami in tutte le reti, siano esse di comunicazione, di competenza o di fiducia. Poiché i servizi basati sulla conoscenza e l’informazione, come pure le risorse intellettuali, diventano sempre più importanti per le organizzazioni, il miglioramento della cooperazione fra individui sarà uno dei modi principali per mettere a frutto le risorse intellettuali a disposizione.

Le ricerche in ambito psicologico e sociale (Kelley, Caplan, 1993) dimostrano come le stelle all’interno delle organizzazioni, oltre alla padronanza delle reti sociali, posseggono abilità legate all’intelligenza emotiva. Infatti, ci sono forti evidenze del fatto che persone in grado di capire e controllare i propri sentimenti, entrare in empatia con gli altri, essere ottimisti e realisti, avere la giusta fiducia in sé stessi, capaci di adattarsi e di essere persuasivi, riescono a svolgere il lavoro in modo eccellente (Goleman, 1996); le capacità intellettuali e le conoscenze tecniche, invece,  diventano i requisiti di base per svolgere un qualsiasi lavoro, ma non per raggiungere risultati ottimali[1].

In questo contesto, l’impresa può essere il veicolo di un differente modello di sviluppo, che attraverso l’investimento in conoscenze e competenze genera innovazione, favorendo la coesione sociale e garantendo la sostenibilità umana e ambientale del suo operare. Le potenzialità positive del “lavoro immateriale”, basato sulla conoscenza e sull’informazione, fanno infatti intravedere la possibilità di rileggere i moderni contesti organizzativi basati sulla conoscenza superando le contrapposizioni che storicamente hanno caratterizzato il mondo del lavoro (la separazione tra soggetto-oggetto e tra mezzo e fine).

I cambiamenti in atto vanno perciò ripensati anche in una prospettiva organizzativa che rimetta al centro la persona in quanto soggetto in relazione con gli altri, perché le reti interpersonali che emergono all’interno delle organizzazioni sono un impulso per l’innovazione e il benessere delle persone e organizzativo. I moderni strumenti di analisi relazionale offrono alla pratica manageriale supporto in questo senso, consentendo di osservare l’evoluzione delle reti informali per progettare ambienti organizzativi accoglienti che stimolano la creatività delle persone.

 

Per approfondire

Bonazzi G. (1999), Storia del pensiero organizzativo, FrancoAngeli, Milano.

Crozier M. (1990), L’impresa in ascolto, Il Sole-24 Ore Libri, Milano.

Drucker, P (1994), Theory of the business, Harvard Business Review, September-October, 72:95-106.

Goleman D. (1996), Intelligenza emotiva. Che cos’è, perché può renderci felici, Rizzoli, Milano.

Hatch, M. J. (1999), Exploring the empty spaces of organizing: how improvisational jazz helps

redescribe organizational structure, Organization Studies, 20 (1): 75-100.

Krackhardt D, Hanson JR (1993), Informal networks: the company behind the chart, Harvard Business Review, Jul-Aug;71(4):104-11.

Kelley, R., & Caplan, J. (1993), How Bell Labs creates star performers, Harvard Business

Review, 71:128–139.

MacFarlane, R., Cook, M. (2002). Achieving community benefits through contracts. Bristol: The Policy Press.

Williams, W. M., & Sternberg, R. (1988), Group intelligence: Why some groups are better than

others, Intelligence, 12: 351-377.

 

Profilo dell’autore

Mario Losito è referente dell’area Progetti della Fondazione Lavoroperlapersona e Post-doc research fellow presso il Dipartimento di Impresa e Management dell’Università LUISS Guido Carli, dove ha conseguito il PhD in Management. È stato Visting Scholar presso il Dept. of Industrial Management del Royal Institute of Technology di Stoccolma. I suoi ambiti di attività riguardano la ricerca e educazione nel campo dello sviluppo organizzativo, innovazione e network analysis. Collabora con l’Area Executive Education & People Management della LUISS Business School.

 

Una precedente versione di questo articolo è stata pubblicata sull’executivemba NEWS nr.69



[1] Dalle ricerche emerge, infatti, che due terzi delle capacità richieste per svolgere un lavoro in modo eccellente appartengono all’Intelligenza Emotiva e risultano più importanti di un elevato Quoziente Intellettivo o dell’essere competenti da un punto di vista professionale (expertise).

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