Blog EllePì – Una soluzione europea per la cittadinanza?

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di Francesco Cherubini

Con la decisione 1093/2012/UE, Parlamento europeo e Consiglio hanno proclamato il 2013 “Anno europeo dei cittadini”.  Tale decisione, come recita il suo art. 2, ha l’obiettivo di «rafforzare la consapevolezza e la conoscenza dei diritti e delle responsabilità connessi alla cittadinanza dell’Unione, al fine di permettere ai cittadini di esercitare pienamente il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri». Come noto, la cittadinanza dell’Unione, introdotta dal Trattato di Maastricht nel 1993, ha caratteristiche nettamente diverse dalla cittadinanza nazionale: intanto, perché essa ha natura ancillare rispetto a quest’ultima, nel senso che si aggiunge a quella nazionale, finendo così per dipendervi. In altre parole, essendo cittadino europeo (soltanto) chiunque sia cittadino nazionale, è chiaro che gli Stati, determinando i criteri per l’acquisto e la perdita della cittadinanza nazionale, determinano, indirettamente, attraverso norme diverse da Stato a Stato, anche l’acquisto e la perdita della cittadinanza europea.

Una seconda rilevante differenza è che la cittadinanza dell’Unione dà accesso ad una serie di diritti (e comporta alcuni, in vero imprecisati, obblighi) che non sono forse nemmeno vagamente accostabili a quelli conferiti dalla cittadinanza nazionale: piuttosto, si tratta di diritti di estensione minore, il cui apice è raggiunto dalla nota libertà di circolazione e soggiorno in uno Stato membro diverso da quello della cittadinanza nazionale. Questa struttura della cittadinanza europea, risultante dalla lettera delle norme dei Trattati, si è però sviluppata (e modificata) nella prassi delle istituzioni lungo alcune direttrici: proprio questo sviluppo potrebbe costituire, in una prospettiva di lungo periodo, un mezzo di sicuro interesse per la soluzione di un problema di grande momento, quale è quello delle condizioni per l’acquisto della cittadinanza da parte dei cittadini di Stati terzi, soprattutto degli immigrati c.d. di seconda generazione. Quello senza dubbio più importante è il parziale aggiramento della natura subalterna della cittadinanza europea rispetto a quella nazionale: la Corte di giustizia ha affermato, infatti, che tale status è «destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri», sicché detti Stati non sono completamente liberi nel disciplinare acquisto e perdita della cittadinanza nazionale. Ad esempio, non potrebbe uno Stato membro stabilire norme «che privassero taluno della cittadinanza, in contrasto con i diritti fondamentali, riconosciuti dai principi generali del diritto dell’Unione» (U. Villani, Istituzioni di diritto dell’Unione europea, Bari, Cacucci, 2013, III ed., p. 107). Tale aggiramento si è verificato, tuttavia, anche grazie ad un diverso fenomeno: quello, messo in luce recentemente dal volume di Pietro Gargiulo, per cui taluni tipici diritti di cittadinanza (europea) sono assegnati ai cittadini di Stati terzi, che abbiano però un particolare “attacco” al territorio, cioè a dire la residenza. A volte sono gli stessi Trattati ad estendere ai residenti i tipici diritti della cittadinanza europea (come è il caso del diritto di petizione al Parlamento europeo o del ricorso al Mediatore), altre è il diritto derivato (come è il caso, per certi versi, del ricongiungimento familiare), altre ancora è il contenuto stesso del diritto che viene conferito dai Trattati al cittadino europeo ad applicarsi, di per sé, a chiunque si trovi nel “territorio” dell’Unione (si pensi alla libertà di circolazione, la quale, fruendo del regime di abbattimento dei controlli alle frontiere interne, è di per sé diretta anche ai cittadini di Stati terzi).

L’acquisto di centralità del criterio della residenza nel riconoscimento dei diritti spettanti al cittadino europeo è il segno di una emancipazione che, peraltro, si potrà compiere solo nel momento in cui l’Unione potrà stabilire norme autonome sull’acquisto e la perdita della cittadinanza, dando vita ad uno status slegato dalla cittadinanza nazionale. I benefici di un tale passaggio sono evidenti in quanto l’assenza di un rapporto identitario, tipicamente caratterizzante il rapporto fra lo Stato e un suo cittadino, è assente nell’Unione europea. Meglio: si basa su fattori diversi dall’appartenenza nazionale, quale, in primo luogo, l’integrazione all’interno di quello spazio giuridico che è costituito dall’ordinamento dell’Unione. Per altro verso, uno sviluppo in tal senso potrà cristallizzarsi unicamente con una modifica dei Trattati, modifica che, al momento attuale, anche a fronte delle norme piuttosto restrittive che gli Stati membri (e non solo l’Italia) hanno stabilito per l’acquisto della cittadinanza nazionale da parte degli immigrati di seconda generazione, sembra essere piuttosto lontana. Anzi, a tale proposito va registrata, anche a livello europeo, una battuta d’arresto nella normativa, contenuta nel regolamento 211/2011, che dà attuazione all’art. 11, par. 4, TUE: la c.d. iniziativa popolare è stata, infatti, nonostante la posizione inizialmente contraria del Parlamento europeo, riservata ai soli cittadini dell’Unione. Il problema rimane certamente aperto, anche per le ripercussioni politiche che una siffatta modifica comporterebbe: la sua connotazione federalista non passerebbe certo inosservata. Tuttavia, tale prospettiva si inserirebbe in un contesto nel quale – ormai è sotto gli occhi di tutti (basti pensare alla c.d. governance economica dell’UE) – per mantenere efficace il fenomeno dell’integrazione non si può far finta di ignorare la necessità di dotare questa organizzazione di poteri più incisivi.

 

Riferimenti

U. Villani, La cittadinanza dell’Unione europea, in Studi in ricordo di Antonio Filippo Panzera, II, Diritto Internazionale, Bari, Cacucci, 1995, p. 1001 ss.;

A. Ciancio, I diritti politici tra cittadinanza e residenza, in Quaderni costituzionali, 2002, p. 51 ss.;

P. Mengozzi, La sentenza Zambrano: prodromi e conseguenze di una pronuncia inattesa, in Studi sull’integrazione europea, 2011, p. 417 ss.;

E. Triggiani (a cura di), Le nuove frontiere della cittadinanza europea, Bari, Cacucci, 2011;

P. Gargiulo, Le forme della cittadinanza, Roma, Ediesse, 2012.

 

Profilo dell’autore

Francesco Cherubini è docente di Diritto dell’UE presso la LUISS “Guido Carli”, Visiting Fellow presso il Centre for the Study of Human Rights della London School of Economics e Membro del collegio di dottorato in Diritto internazionale e dell’Unione europea presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza”.

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