#Blog EllePì – L’arte di ascoltare: retorica o istanza sociale da accogliere anche nel lavoro?


Ci si ascolta poco. Ovunque: a casa, a scuola, al lavoro. Anche in strada. Nella politica. Ognuno va per la sua strada, dimenticando che la strada è la stessa. Tutti camminiamo infatti, consapevoli o no, verso la stessa direzione. Siamo parte di un destino comune che dovrebbe spingerci a unirci, valorizzando ciò che ci lega e mitigando ciò che ci divide. Bisognerebbe cambiare, il tempo di Pasqua che ancora viviamo invita a farlo. Invece alziamo la voce per fare il contrario, equivochiamo il significato dell’unicità di cui ciascuno è portatore ideologizzandola, dandole quindi una curvatura sbagliata che porta fuori strada. Vogliamo cioè assolutizzare noi stessi (siamo unici, perché non potenziare al massimo il concetto portandolo all’estremo?) facendoci così verità. Su questa strada, dove aumenta senza misura il nostro “io” che sgomita, sbuffa e diventa insofferente, gli altri e le loro opinioni disturbano la guida, sono un impiccio più che un sostegno; diventano nemici più che alleati; incombono, facendo ombra alla nostra unicità trasformatasi in idolo da glorificare; gli altri sono un ostacolo che non consente la nostra piena e necessaria affermazione, ossia poter fare quello che vogliamo e desideriamo, essere liberi (falsamente).

È facile allora comprendere perché l’ascolto, che viene suggerito come pratica da seguire a casa, a scuola, al lavoro, in strada, in politica, diventi virtù negletta e sbeffeggiata, abbandonata e lasciata ai margini perché in opposizione alla tendenza espansiva dell’unicità fuorviante.

L’ascolto inevitabilmente, anche se contemplato in tutti i modelli di competenza e osannato dai capi che invitano i collaboratori a farne abbondante uso per “fare squadra”, finisce per diventare la virtù meno praticata anche nei luoghi di lavoro. Si fa finta di ascoltare, si strutturano “template” disegnati per provare che il confronto tra capo e collaboratore c’è stato, che tutti gli attori sono stati interpellati e invitati ad esprimersi. Si sa però che questo, troppo frequentemente, finisce nei fatti per essere solo un apparato di facciata (gli imperativi della compliance sono invasivi), un vestito formale sotto il quale non troviamo la sostanza.

Eppure l’arte di ascoltare, se appresa lungo tutta la vita perché non c’è un tempo particolare in cui impararla, ci aiuterebbe a percorrere con maggiore sicurezza quella strada del benessere integrale che in molti guardano come all’obiettivo cui tendere anche nel lavoro. Per impararla bisogna però esercitarsi, costa una qualche fatica, perché occorre abituarsi a fare dei movimenti non sempre naturali che si dimostreranno utili, però, a facilitarla e praticarla. L’ascolto richiede infatti una torsione (fisica e mentale) in modo tale che l’unicità ritorni ad essere intesa nel modo giusto, depotenziata cioè dalle promesse illusorie e devastanti del singolarismo che estremizza l’individualismo esasperandone la portata. A tal proposito c’è una metafora di Plutarco che aiuta a dare fisicità e spessore a questa torsione dell’ascolto: «Quando si travasa qualcosa, la gente inclina e ruota i vasi perché l’operazione riesca bene e non ci siano dispersioni, mentre quando ascolta non impara a offrire sé stessa a chi parla e a seguire attentamente, perché non le sfugga nessuna affermazione».


Gabriele Gabrielli è ideatore, fondatore e presidente della Fondazione Lavoroperlapersona ETS. Insegna Organizzazione e gestione delle risorse umane all’Università LUISS Guido Carli e Remunerazione e gestione delle risorse umane all’Università Europea di Roma, dove è anche co-direttore del Master di 1^ livello in Sustainable HRM. E’ consigliere delegato di People Management Lab S.r.l Società Benefit e BCorp. E’ stato direttore Risorse Umane di Ferrovie dello Stato, Wind, Enel e Coin. In Telecom Italia è stato direttore Personale e Organizzazione della divisione Servizi Internazionali e responsabile dello Sviluppo Manageriale.

Reportage EllePì – Quel che resta del lavoro – capitolo 5 – “La paga globale”
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