#Blog EllePì – Prestazione, relazioni e persona: il racconto del VI Film Festival Offida

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Anche quest’anno, il Teatro del Serpente Aureo di Offida diventa la sede del Film Festival della Fondazione Lavoroperlapersona, giunto alla sua sesta edizione dal titolo La società tra prestazione e relazioni. Come prendersi cura della persona oggi? I lavori si aprono ufficialmente con le parole del presidente della Fondazione Lavoroperlapersona Gabriele Gabrielli, che ha ricordato come secondo il World Economic Forum il 40% delle persone sono infelici sul lavoro. “Molte di queste così lo lasciano, altre si rassegnano e vivacchiano nelle organizzazioni, con condizioni drammatiche per la produttività, per il clima organizzativo, per la motivazione”, ha detto Gabrielli che ha ricordato come il Festival sia l’occasione di riproporre una domanda: come prendersi cura delle persone nella società della prestazione? Così, il Festival è entrato nel vivo con un grande ospite e un protagonista della filosofia di inizio XXI secolo, Miguel Benasayag dell’Università di Parigi.  Il  filosofo, psicanalista ed ex guerrigliero argentino naturalizzato francese, in collegamento dal suo appartamento parigino, ha dialogato con il filosofo Luca Alici sul dilemma: “Funzionare o esistere?”.

La prima giornata si è conclusa con un classico del Film Festival, che tutti gli ospiti aspettano, il film di Giovanni Panozzo. Quest’anno il documentarista veneto ha proposto il mediometraggio “Rehumanize”: tre storie tra suicidio giovanile, medicina e diritto allo studio che raccontano un’Italia divisa tra la paura di perdere i suoi giovani, lasciati spesso troppo soli e le grandi sensibilità umane e talenti che ancora ci sono in ogni ambito di studio e lavoro. Il messaggio è che un grave incidente, una forma di autismo o anche il suicidio di un figlio non fermano e non possono fermare la vita.

A fare compagnia agli ospiti, per tutta la durata del Festival, i banchetti con i libri della Fondazione e le borse, gli astucci e i braccialetti di “Made in carcere”, il progetto di riabilitazione penitenziaria di Luciana delle Donne che ha ricevuto anche il premio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Tutto è iniziato 17 anni fa, in quegli anni anche solo la parola carcere faceva vergognare, ma siamo riusciti a far capire l’importanza di avere un contatto con le persone che sono state recluse. Perché hanno sbagliato, ma ciò non vuol dire che debbano tornare a farlo: così si recupera una persona che altrimenti viene vista – e si vede – solo come un problema”.

Poi via al secondo giorno con Gabriele Giorgi, psicologo e professore all’Università Europea di Roma, che ha parlato di innovative performance, gestione dello stress, adattabilità e lavoro ibrido. La domanda ce la siamo posta tutti almeno una volta: Fare più cose insieme è un rischio o una risorsa? La risposta breve è un rischio, quella lunga è che quando ci si sforza bisogna avere a mente che la super-performance è performance controproduttiva, che va di pari passo poi con l’insabbiamento dei problemi sul luogo di lavoro. Oltre alla performance esiste la prestazione e la mancanza di produttività può portare a crisi personali, ad aggrapparsi al lavoro e a organizzazioni tossiche del lavoro. Il lavoro non è sempre bello, ci sono organizzazioni aggressive, stressanti o addirittura noiose. “In un luogo di lavoro serio” dice lo psicologo “queste cose si fanno presenti”.

Successivamente all’intervento del prof. Giorgi, sul palco è salito Maurizio Giuli, responsabile dei progetti strategici di Simonelli Group. L’azienda, ha esordito il manager, è come se fosse un animale vivente, in cui tutte le parti devono funzionare all’unisono per riuscire a produrre una prestazione adeguata e soddisfacente; se però una parte prevale sul tutto – o se si perde di vista il funzionamento generale di questo “strano organismo” – è ovvio che si eccede nello sforzo, sottoponendo tutto e tutti ad un profondo malessere. “La ricerca della prestazione non può andare a discapito della salute dell’azienda e dei dipendenti, altrimenti otterremo solo una performane vuota di senso e dignità“: come dire, una operazione perfettamente riuscita ma con il paziente ormai morto. 

Arriva il momento del secondo film, “You can’t automate me”, di Katarina Jazbec, realizzato nel 2021 ad Amburgo, uno dei porti più importanti d’Europa. Prima che le navi porta-container prendano il largo, gli operai assicurano i container utilizzando barre di metallo pesante. Sono gli ultimi lavoratori portuali a svolgere lavori così pericolosi circondati da veicoli a guida autonoma e gru telecomandate. Sono pochi, si contano su poche mani. Ognuno di loro è una storia, una storia spesso incisa sul corpo con tatuaggi e cicatrici. I tatuaggi ricordano chi è morto, danno la forza per andare avanti. La regista sembra chiederci: com’è possibile creare un gruppo di lavoro unito e sereno in queste condizioni? Com’è possibile anche solo ridere? Guardando il film si scopre che si può.

Si torna a parlare di pandemia con  la lecture di Massimiliano Marinelli, docente di Medicina narrativa presso la Facoltà di Medicina dell’Università Politecnica delle Marche. Al centro del suo ragionamento c’è la pandemia, che in due anni ha sconvolto e continua a sconvolgere le vite di tutti. “Il Covid ci ha fatto drammaticamente scoprire il valore della nostra salute e ci ha spinto a mettere al centro il nostro benessere psico-fisico” ha spiegato il professore che continua “la pandemia, però, ha anche mostrato – e sicuramente acuito – la logica prestazionale che pervade la nostra quotidianità, provocando ansie, frustrazioni e sensi di colpa”. Una logica di cui è vittima anche lo stesso sistema sanitario e che si è scoperto debole ed estremamente fragile. Come ritrovare la persona e liberarla dalla gabbia in cui si trova costretto?​ Per il professor Marinelli la risposta è una: rimettere la persona al centro della cura, che deve essere gratuita e garantita proprio per instaurare fiducia nel sistema sanitario.

Si è passati poi alla testimonianza di Gabriele Pagliariccio, direttore della UOC Chirurgia Vascolare della ASL di Teramo presso l’Ospedale G. Mazzini. Pagliariccio ha reso chiare le falle democratiche della gestione globale della salute, una domanda raccoglie tutti i dubbi che ha posto: “Chi deve avere la governance sulla salute, in un mondo dove nell’ 80% dei Paesi devi pagare per curarti?”. La salute non è beneficenza e nemmeno può essere un bene di consumo; essa infatti è un bene comune e, come tale, dovrebbe essere sempre gratuita e garantita

Infine, la proiezione “Quello che serve” di Chiara D’Ambros e Massimo Cirri, sulla qualità della salute e sul diritto alla salute. Siamo a Milano, è aprile 2020 e un cittadino qualunque, Massimo Cirri, ha passato gli scorsi mesi chiuso in casa, mentre medici e infermieri si spendevano senza sosta per salvare vite. Un tumore lo aveva colpito, poi è stato curato bene, è guarito, gratis.  Grazie a un servizio che fornisce cure, assistenza, accertamenti, medicine a tutti e senza chiedere denaro. Da dove arriva questa visione del mondo? La salute è un diritto? Una storia personale, la storia di un tumore, diventa lo spunto per raccontare il cuore, cioè il personale, del Servizio Sanitario Nazionale. Come dice Gino Strada, uno dei protagonisti del corto, “La medicina deve essere rispettosa, e quindi gratuita. Perché non c’è neanche un ecografo in tutta la piana di Gioia Tauro?“. Bisogna pensare al sistema sanitario, “Non bisogna lasciare che i politici scelgono nomi importanti e che gli ospedali privati si rimpolpano delle risorse che dovrebbero andare ai pubblici” così il corto si chiude, con le parole di Milena Gabanelli.

Con la sera arriva il momento di “Doomsday clock. L’apocalisse arriva a mezzanotte”, la rappresentazione teatrale ispirata a “Fragilità globale. La via dell’Umanesimo fra Natura e Tecnologia”, lectio magistralis tenuta nel 2020 da Luigi Alici alla presenza del presidente della Repubblica Mattarella per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Macerata. In scena, un ipotetico dialogo tra un professore di filosofia e due suoi studenti – Aurora e Leonardo – attorno alle tematiche della pandemia, dell’antropocene, dei cambiamenti climatici, della natura.

Apre l’ultimo giorno di lavori Maddalena Colombo, dell’Università Cattolica di Milano. Ci parla di come riuscire a svincolare la voglia di apprendimento dall’ansia di trasformarlo per forza in un lavoro e ci avvisa: così perdiamo i giovani. “L’Italia delle vocazioni perdute obbliga i giovani a reagire con scelte rinunciatarie per evitare frustrazioni” dice.  “Così, si chiudono in sé stessi, si negano al pubblico. Viviamo in Paesi in cui i giovani ormai sono invisibili, sono al massimo il 30% di una società. Sono anche irrilevanti nel mondo del lavoro, dei pochi occupati il 10% diventa subito disoccupato. Hanno tutte le caratteristiche per essere protagonisti, ma sono tenuti fuori dal mercato”. La docente poi prende a esempio un dato: il denaro. Non è vero che i giovani non vogliono lavorare, spiega, anzi mai quanto ora tra i giovani c’è una vicinanza tra valore e denaro. Il problema, però, dipende dal fatto che il legame tra valore e denaro sia slegato dal lavoro, ma legato a narrazioni e fantasie di una occupazione veloce, facile e redditizia come quella degli youtuber, degli streamer o dei influencer. 

Interviene dunque la dirigente scolastica Alessandra Rucci – del movimento Avanguardie educative – che punta a una educazione diversa dal classico metodo frontale top-down. “Usiamo la valutazione formativa, che evidenzia l’errore e lavora su quello”, commenta alla platea”. Secondo la docente, la scuola è ancora fondata su Gentile e sulla triade io spiego, tu ascolti e poi ripeti. “Diciamo che i giovani sono demotivati, ma senza sapere cosa c’è dietro la motivazione, come si costruisce questa motivazione – commenta – ecco perché noi lavoriamo sull’insieme, sul gruppo e non sull’individuo”. Così, nei presidi dove insegnano le Avanguardie educative, si cerca di arrivare a un risultato lavorando insieme, abituando i ragazzi a lavorare così. “Bisogna sentirsi liberi di sbagliare e sull’errore si costruiscono le lezioni e le occasioni di miglioramento. Così il docente è una persona fidata che permette allo studente di superare la fragilità, invece di essere una persona che sviluppa la competitività tra gli alunni”.

Giunge il momento del film/documentario L’acqua l’insegna la sete, realizzato nel 2020 da Valerio Jalongo. Quindici anni dopo aver realizzato un video diario insieme ai ragazzi della 1 E, il vecchio professore, Gianclaudio Lopez, ormai in pensione, va alla ricerca dei suoi ex studenti. Tutto parte un giorno, quando Lopez ritrova in un vecchio giornale di classe una poesia di Emily Dickinson, che in pochi versi rivela come la vita ci insegna il valore delle cose. Così, tra chi si muove tra casinò di lusso e magazzini sporchi e chi ha dedicato la vita agli animali, si ripercorrono le esistenze di una classe travagliata. Una classe come tante, piena di storie uniche.

Il Festival chiude i battenti con le riflessioni del filosofo Luigi Alici, professore emerito all’Università di Macerata. Ancona una volta, al centro, i giovani: formati, sovra-qualificati e lasciati fuori dal mondo del lavoro, cresciuti senza rendersene conto che vivono la gioventù come un’occasione già persa, come si nota dai troppo frequenti comportamenti autolesionisti e violenti come hate speech, cyberbullismo e pedopornografia. Alici parla, allora, di Freud, di psiche e corpo e di accettazione della vita, come della morte. “La mente sa che deve morire, ma la psiche non lo accetta, e così viviamo come se non dovessimo mai morire”. Una frase che diventa un ponte per la conclusione del filosofo, che avvisa: Ma se il presente è eterno ed è morto, vuol dire che è senza futuro. E quando il presente è senza futuro i ragazzi crescono vecchi”.


Enrico Mascilli Migliorini è nato ad Avellino nel 1994, si è laureato in Storia a Firenze con una tesi sui libri proibiti e, successivamente, per la laurea magistrale ha realizzato una tesi di Archivio sugli zingari a Bologna in età moderna. Ha scritto per la rivista dell’Università Pablo de Olavide di Siviglia (SPA), per l’Università di Leeds (Uk), per la Rivista di studi Napoleonici e per Il Ducato, testata dell’istituto per la formazione al giornalismo di Urbino. Dal novembre 2021 collabora con la redazione de Il Fatto Quotidiano. Da marzo 2023 è un ricercatore Cnr-Irpps

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