#Blog EllePì – “L’instabilità che non mi scelgo” il precariato che ingabbia la salute mentale
Una instabilità “imposta” senza possibilità di rifiutarla. Questa è la condizione lavorativa in cui versano milioni di italiani. Una subdola tappa che attanaglia la salute mentale dei più giovani che vedono sempre più lontana la possibilità di realizzare i più semplici progetti di vita.
Sette contratti su dieci stipulati nel 2021 sono, infatti, a termine. Il lavoro cosiddetto “atipico” – che include tutte le forme di contratto diverse da quello a tempo indeterminato full time – rappresenta l’83% delle nuove assunzioni. Questi i dati presentati a novembre dall’istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, Inapp. Una fotografia allarmante che individua nella precarietà una “trappola” in cui è caduto, e rimane bloccato, il mercato del lavoro. Quasi un anno fa, ad aprile 2022 l’occupazione precaria aveva raggiunto un nuovo record. Erano 3 milioni 166mila i dipendenti a termine. Mai così tanti da 1977. Con un tasso di occupazione che non arrivava alla soglia del 60%. Giovani, donne e migranti sono le categorie più colpite da questa condizione. Al Sud, poi, il 23,8% dei lavoratori con una “scadenza” lo è da più di cinque anni, secondo il rapporto Bes 2021 dell’Istat.
Ma se i numeri del precariato sono sintetizzati in rapporti e statistiche, quelli degli effetti sulla psiche procurati da questa condizione sono difficili da trovare, nonostante i diversi studi in materia. Secondo il rapporto Sdgs 2022 dell’Istat, il 16% degli occupati in Italia – non specificatamente i lavoratori a termine – avverte problemi di tipo psicologico. Le donne ne soffrono in modo “particolarmente intenso”. Sono il 19,4%.
Ansia, stress, depressione. Così il lavoro precario sembra incidere fortemente sulla salute mentale di chi lo sperimenta e lo vive. Una situazione di trappola, di “adolescenza sospesa” anche oltre i trent’anni di età causata da un’incertezza lavorativa che spinge e costringe i giovani precari ad adattarsi. Questi, ad esempio, “vengono a cavallo della rivoluzione digitale, sono la generazione dei nati tra l’80 e il 2000, quelli chiamati Millennial: la loro epoca doveva essere quella del consolidamento economico e del benessere diffuso, e invece è stata quella della peggiore crisi dai tempi della Grande Depressione, il cui leitmotiv sembra essere la mancanza di certezze”. A dirlo è stato l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna nel 2018 in un comunicato dal titolo: “L’adolescenza sospesa dei giovani d’oggi”. “Una condizione di precariato lavorativo non rende instabile solo la situazione economica, ma mina anche lo stato psicologico delle persone – sottolinea – Perché non possono emanciparsi dalla famiglia di origine e costruire una propria realtà, ma si ritrovano a vivere forzatamente in una sorta di ‘adolescenza sospesa’”. Per gli psicologi, nei giovani è presente una costante preoccupazione per il domani causata dal lavoro a termine, oltre al “disagio” e alla “demotivazione”.
“Non mi rendo realmente conto di quanto influisce nel mio vissuto, ma sicuramente lo fa nei miei programmi. Penso alla maternità, la mia posizione lavorativa non mi permette di diventare mamma. Tutti i progetti che hanno a che fare con la sfera affettiva devono essere per forza spostati in avanti. Questo non mi fa sentire adeguata rispetto ad altre persone che magari hanno una stabilità”, racconta Beatrice, 30 anni, a Lavoroperlapersona. Il suo è un lavoro a termine. “Siamo così abituati al precariato che neanche ci accorgiamo del suo impatto sulla nostra salute mentale. Forse quando saremo più stabili percepiremo che tipo di stress avremo avuto”, spiega Emilia, 27 anni. C’è poi anche chi non vuole fossilizzarsi su un lavoro cambiando occupazione quando vuole, come Cecilia, 25 anni. Questo è vero in parte anche per Beatrice che aggiunge: “Sì, ma nella mia totale sicurezza, sono io a dover scegliere l’instabilità. Al momento mi è imposta”.
Giovanni, 30 anni, ha perso il lavoro dopo un anno di precariato. “Nei confronti del futuro mi sento amareggiato e deluso. Così come mentalmente scarico e molto sfiduciato, con poche speranze e positività, almeno nel breve e medio periodo”, racconta. Sulla sua esperienza precedente, però, aggiunge che con un contratto a tempo determinato “c’è sempre una speranza. Sei consapevole del rischio di essere mandato a casa, ma almeno c’è qualcosa che occupa i tuoi pensieri rispetto alla disoccupazione”. Lui, per le aspettative che gli altri anni nei suoi confronti, ha sofferto d’ansia. “Ho provato anche tanta tristezza e rabbia”, conclude. In quel momento il tono della voce si abbassa, ci pensa e conferma “Sì, ho avvertito questo”.
Maria Elena Marsico è giornalista praticante. Ho una laurea triennale in Arti e Scienze dello Spettacolo e una magistrale in Editoria e Scrittura, entrambe conseguite presso l’Università Sapienza di Roma. Sono stata allieva dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino dal 2021 al 2023 e in questi anni ho scritto su Ansa, The Post Internazionale – Tpi, ItaliaOggi e Il Ducato. Nelle mie tesi ho parlato di migranti e mafia foggiana. Sono appassionata di cronaca, musica e spettacolo.