#BlogEllePì – Senso del lavoro e lavoro di senso: ricostruire significati per ricostruirsi nel lavoro

Tempo di lettura 5 minuti

Qual è il senso del lavoro? Cosa ci motiva ad alzarci tutti i giorni per andare a lavorare? Qual è il suo significato? Ecco le domande fondamentali all’origine di un dialogo aperto che si è tenuto nel mese di luglio grazie al nostro Education Webinar Ellepì, uno spazio pensato per far fiorire le relazioni umane e farle diventare un’occasione di esplorazione e di apprendimento in quanto fonte di scambio, scoperta e riconoscimento. Come? Attraverso il lavoro, in quanto espressione della persona e della sua identità: attraverso l’esperienza altrui, attraverso testimonianze di lavoro condivise, è infatti possibile riconoscersi, trarre ispirazione, dare significato e trovare, persino, la spinta per rialzarsi nei momenti di difficoltà. L’appuntamento è nato in collaborazione con il Centro per l’Impiego di Monza, PWC e AFOL Monza-Brianza che, nell’ultimo anno, hanno proposto un percorso di formazione e orientamento a tutti coloro che si sono trovati nella difficile fase di ricerca di una nuova occupazione. Paola Pomari (Centro per l’Impiego di Monza) definisce questa occasione “Un evento importante, che permette alle persone che stanno cercando una strada, un nuovo inizio di lavoro, di essere al centro”.

Il viaggio di condivisione ed esplorazione verso la scoperta del “senso del lavoro e del lavoro di senso” è stato guidato da Sonia Palermo, Educational Program Manager della Fondazione; un cammino che attraversa l’evoluzione e il cambiamento del senso del lavoro nel corso della storia. Il lavoro, da strumento evolutivo, è diventato fonte di riflessione sulla qualità della vita già a partire dall’epoca classica, dispiegando poi una funzione educativa nelle epoche successive grazie alla formazione dei fanciulli nelle botteghe artigiane e legandosi al senso di fatica, alla regola, all’educazione e al comportamento sociale. Il lavoro, allora, era attenzione alla comunità, ai tempi, alla relazione, un’accezione stravolta dalla rivoluzione industriale che ha sostituito questi valori con l’attenzione alla produzione e al prodotto. Questo sino alla rivoluzione digitale, che ha accolto – più che in altre epoche – il bisogno di porre la persona al centro del lavoro ma, nello stesso tempo, ha generato una nuova ondata di diseguaglianze e squilibri socio-economici.  «Cos’è il lavoro per noi oggi?conclude Sonia – Un bene irrinunciabile, per questo oggetto di attenzione e tutela, fondamento di democrazia e civiltà, mezzo per ricercare benessere materiale e spirituale, fonte di realizzazione personale». Al centro del lavoro, continua: «c’è la relazione con l’altro. Il lavoro, attraverso la creatività umana, talvolta carica di fatica, può sollevarci consentendoci di riconoscere noi stessi attraverso ciò che stiamo realizzando».

Prende la parola Carla Parietti Human Resources Consultant presso Management Lab Srl Società Benefit e volontaria della Fondazione Lavoroperlapersona, guidando la riflessione dall’evoluzione storica del senso del lavoro alla sua accezione psicologica e motivazionale: dal senso del lavoro al lavoro di senso. «Che senso ha il lavoro? Questa è una domanda che tutti si pongono? Porsi la domanda sul senso del lavoro, tempo fa, era un lusso. Il lavoro aveva un senso unico, definito: garantiva la sicurezza economica e spesso era collegato al senso di sacrificio e fatica».  Carla apre la sua riflessione sottolineando come, ad oggi, la soddisfazione del bisogno economico non sia più una motivazione sufficiente, come ci dimostrano le nuove generazioni che nel lavoro ricercano, principalmente, la possibilità di una crescita personale e continuativa. Svolgere un lavoro di senso è un bisogno emerso soprattutto negli ultimi anni ed amplificato dalla pandemia, la quale ha contribuito a rendere l’interrogativo sul senso del lavoro non più accessibile solo a pochi eletti, come in passato, ma tipico della quotidianità di ogni persona. Dunque, che cosa ci motiva a lavorare? La risposta sta nella soddisfazione di tre bisogni tipicamente umani: autonomia, competenza e socialità. Un lavoro è in grado di motivare proprio quando alimenta l’autonomia della persona, ovvero, quando ne sostiene la libertà consentendole di esprimere la sua identità e i suoi valori; quando le consente di mettere in gioco la sua competenza, di migliorare e di superarsi all’interno di una comunità dove le relazioni sono positive.

Il percorso è continuato con la visione di alcuni passaggi scelti dai film di Giovanni Panozzo e, infine, si è concluso con le testimonianze di Asmae Dachan e Francesco Codega. Asmae Dachan – responsabile dell’Ufficio Stampa della Fondazione, giornalista e scrittrice – racconta: «lavorare in Italia significa fare da ponte: raccontare al mondo italiano, in lingua italiana, aspetti del mondo mediorientale e nordafricano rendendo più comprensibile un mondo che ci sembra lontano, a volte indecifrabile. Il mio impegno di giornalista qui è dedicato a fare da mediatrice tra queste realtà. Quando mi occupo di lavoro, invece, entro in punta di piedi nella vita delle persone per aprire insieme il loro album di famiglia, raccontare le loro storie, le loro difficoltà ed ambizioni. Faccio tutto con occhi curiosi: vai oltre l’apparenza, cerchi di approfondire la realtà in cui il lavoro di quella persona si è potuta esprimere”.  Asmae ha proseguito raccontando il suo lavoro in Siria durante la guerra e del suo lavoro in Etiopia, in cui si è occupata del tema del lavoro fantasma di donne e bambini, privo di monetizzazione e forme di riconoscimento. «La mia missione è dare voce a chi non ne ha laddove non c’è libertà di espressione. Da una notizia, da un reportage, nasce una curiosità, un desiderio di aiutare e lì trovi la ragione e il conforto di occuparti di cose dolorose, perchè quando lo fai diventi parte di quel dolore a cui non ci si abitua. Quando la vita ti mette davanti alla possibilità di portare avanti un racconto, dare voce a persone che non hanno voce, di mettere in contatto persone in una relazione umana che è di empatia e che è di solidarietà, trovi la forza di continuare a fare quel lavoro per quanto a volte possa significare rischiare e fare tuo un dolore che poi non dimentichi”.

Chiude il nostro incontro Francesco Codega, che, come Asmae, ci regala una straordinaria opportunità di riflessione. Francesco è un imprenditore del pavese che ha deciso di mettersi alla prova in ambito agricolo proponendo attività a misura di persona con tempi e modalità sostenibili a 360 gradi ed è il creatore dell’Associazione di promozione sociale “Coltiviamo talenti”. Francesco racconta la sua storia sin dalle origini quando, per lui, il lavoro si legava semplicemente ad una funzione strumentale: “lavoravo per necessità”, ci dice. Mi sono approcciato al lavoro per diventare indipendente, essere autonomo, trovare la mia identità e seguire la strada che volevo. Andando avanti nel tempo, dopo dieci anni in una grande azienda, ho visto che il lavoro e l’impegno, se nel contesto sbagliato, non possono completarti. Nonostante la buona remunerazione e la possibilità di crescita all’interno dell’azienda, ben presto, Francesco, si è accorto di svolgere un lavoro che non rispecchiava i suoi valori, che gli impediva di esprimere se stesso. Francesco ha iniziato ad interrogarsi, ascoltarsi, ed ha iniziato ad interessarsi e legarsi sempre di più alla sfera del benessere personale, trovando lì la sua vocazione: “Il lavoro per me è stato uno strumento di crescita e un modo per portare, nel mio piccolo, un cambiamento. Ho trovato nell’agricoltura una occasione di inclusività, la possibilità di uscire dagli schemi legati al profitto e lavorare per generare benessere attraverso schemi sostenibili e guardando al futuro lasciando alle generazioni che verranno qualcosa di buono”. Il lavoro, per Francesco, deve appassionare, e, soprattutto, non deve consumare ma essere sempre fonte di crescita, anzitutto umana.

Interrogarsi sul “senso del lavoro e sul lavoro di senso” significa porsi una domanda fondamentale: “chi vogliamo essere?” Il lavoro, quando dotato di senso, è massima espressione dell’identità della persona tanto che “cosa facciamo” può diventare espressione di “chi siamo” e la nostra identità, il nostro essere, può a sua volta arricchirsi e definirsi attraverso il nostro agire. Interrogarsi sul senso del lavoro significa dunque, riflettere su di sé, sui propri valori, sulla propria identità, su che traccia di noi stessi vogliamo lasciare in questo mondo.


Chiara Pallotta è collaboratrice della Fondazione Lavoroperlapersona dove si dedica alle attività educative rivolte alle scuole e ai più giovani. Laureata in Filosofia ed etica delle relazioni presso l’Università degli Studi di Perugia, è Life & Teen Coach Umanista presso la Scuola di Coaching Umanistico di Luca Stanchieri.

Download PDF
#CampusEducativo - Ensemble: laboratori musicali per educare all'ascolto
Aldo Sergiacomi in Piazza - domenica 4 settembre 2022 - Offida (AP)