#TerraTerra – Pecore, cani e pastori in Abruzzo – 6a tappa
Peppe – Prati di Tivo, Abruzzo
Peppe ha lo sguardo perso sulla montagna, mentre racconta le storie del suo passato. Le pecore sfilano davanti a lui, in ordine confuso, brucando l’erba qua e là. Ringo, il suo cane pastore, le rincorre abbaiando, cercando di dargli una direzione e non disperdere il gregge. Lui e suo fratello hanno passato più di quarant’anni nei pascoli di Prati di Tivo, alle pendici del Gran Sasso. Entrambi pastori fin da piccoli, avevano insieme più di cinquecento pecore. “Bei tempi, tutto cambia” ripete fra sé, sospirando. Lo conoscono tutti in zona. Per il suo formaggio ovviamente, ma anche per il suo fare estroso e piacevole con cui intrattiene i rapporti. Porta una camicia a maniche corte blu, aperta sul petto, e un paio di jeans. Profuma di fresco. Forse la sua barba appena rasata, o i suoi capelli grigi, curati e pettinati. Appoggiato al suo bastone, segue con lo sguardo il movimento del gregge, lanciando dei fischi per richiamare all’ordine gli animali. Solo un mese fa suo fratello se n’è andato. Peppe si è trovato costretto a ridurre il gregge e a fare i conti con la solitudine. Il lavoro non ha lasciato spazio per la sofferenza, che si legge solo nei suoi occhi, quando si ferma a guardare quei luoghi che ha sempre vissuto con lui.
“Io sto qui da sempre, prendo in affitto dal comune questa parte di montagna. Siamo in due che pascoliamo su questo versante. L’altra è una donna. Arriva fino a sotto il Corno Grande con il gregge, però non va più lei, ha un operaio rumeno che le pascola.” Dalla morte di suo fratello, Peppe fa tutto da solo, ci racconta. Dorme il minimo necessario per non crollare, fermandosi anche a volte nella roulotte, che ha sistemato accanto al recinto degli animali, per comodità.
Camminiamo con lui nel prato sopra il recinto, che divide la strada asfaltata dagli impianti di funivie, ancora inattive. Il Gran Sasso sulla destra è maestoso, una presenza impossibile da ignorare. Mentre ci avviciniamo alla funivia, il sole inizia a scomparire dietro la montagna. Un paio di grosse nuvole bianche compaiono da ovest, andando a danzare intorno al Corno Grande, coprendo quell’unico tratto in cui si intravedeva ancora la neve. Il gregge inizia ad andare veloce, attratto dalle piante più saporite, e si divide in due gruppi. Peppe se ne accorge. “Guardale, guardale. Queste potrebbero andare in formula uno a correre. Mica so pecore! Ringo vai vai! Vai Cicciolina anche te, dai!” Cicciolina, l’altro cane pastore, è una border collie più giovane di Ringo e decisamente meno dedita al lavoro. Baldanzosa e scattante, si aggira tra di noi, cercando attenzioni e carezze. Da qui, il nome che Peppe ha scelto per lei. “Guarda. A lei basta che le fai le coccole e sta apposto. Sai cosa gliene frega del gregge.” L’ironia che crea Cicciolina nel non saper ricoprire il ruolo che le è stato affidato, ma anzi boicattando a volte il suo compare Ringo con movimenti impacciati, colpisce anche lui.
Giriamo attorno alle pecore, cercando di riunirle, superando gli impianti e scendendo verso il sentiero nel bosco, poco distante dal suo campo base. Ancora un fischio, Peppe richiama Ringo, facendolo correre dall’altro lato per stringere il gregge a destra e sinistra. Un timido tentativo di una pecora, di sciogliersi dal gruppo ed entrare nel giardino di un vicino casolare, viene immediatamente stroncato da Ringo, che mordendogli le caviglie, la riporta subito all’ordine. La marcia verso il campo base prosegue. Il gregge è quasi arrivato a destinazione. Sulla sinistra, notiamo una grande struttura azzurra, che si staglia violentemente sul panorama. Un hotel familiare a quattro stelle, con piscina e parco giochi che vediamo sul giardino davanti all’entrata. “Porto i formaggi anche a loro. Ogni tanto vado anche la sera a bere qualcosa. Un po’ di compagnia ci vuole, no?” Ci guarda Peppe, sorridente.
Ci spiega che oggi di operai che possano aiutarlo non se ne trovano, nessuno vuole fare questo mestiere, difficile e pieno di sacrificio. Negli ultimi anni ci sono molti pastori moldavi e rumeni che vengono assunti per gestire il gregge e portarlo al pascolo, ma lui non si fida più, dopo un’esperienza negativa che gli è successa. “Avevo anche io un pastore rumeno che mi aiutava. Si distraeva spesso e il gregge si separava. Tornò un paio di volte con una pecora in meno, che aveva dimenticato durante il pascolo e non mi disse niente. Ovviamente me ne accorsi. Quando il gregge non è il tuo, ma lo fai solo per i soldi, è ovvio che non sei completamente attento. Preferisco lavorare di più, e farlo da solo.”
Arriviamo al campo base, dove Peppe si adopera per far rientrare gli animali nel recinto. Una rete elettrificata arancione segna l’entrata, con la batteria appoggiata a terra lì vicino. Una seconda recinzione di ferro elettrosaldato, si trova poco più in là. E’ lì che dormiranno le pecore stanotte. Mentre il primo gruppo inizia ad entrare, seguito dai cani maremmani rimasti sempre nei paraggi, Ringo spinge l’altro gruppo dentro, che era rimasto a brucare ancora un po’. Cicciolina non vuol saperne, si fionda direttamente nella ciotola con l’acqua. Peppe inizia a farsi sentire, complice la stanchezza della giornata, inveendo contro le pecore che non vogliono entrare, e avvicinandosi per colpirle col bastone. Inizia a far buio, e la notte non è certo complice del gregge. Molti branchi di lupi popolano i boschi del Gran Sasso, e le pecore sono sempre la loro dieta preferita. Non con facilità, Peppe riesce finalmente a far rientrare tutto il gregge, chiudendo dietro di sé la rete elettrificata e azionandola. Sei maremmani sono rimasti all’interno per fare la guardia al gregge, altri tre fuori per sorvegliare l’esterno. “Ce l’abbiamo fatta. Ogni sera sempre più stronze sono.” Scherza Peppe. “Adesso ci facciamo un bicchiere”.
Nel tavolino vicino alla roulotte, sotto a una grande quercia, c’è un box da cinque litri di vino rosso. Peppe tira fuori tre bicchiere e li riempie, regalandosi un momento di pausa. “Pensa che da ragazzino avevo fatto il seminario per diventare prete. Un anno, un anno e mezzo, poi ho lasciato perdere. Potevo essere pastore due volte”. Il suono delle cicale si fa sempre più forte. L’ombra del Gran Sasso è ancora lì, presente e arcigna. Timida, la luna si inizia a mostrare, risalendo a sud del Corno Grande. E’ arrivato il buio. Neanche il tempo di finire il suo bicchiere di vino, Peppe carica sul suo Ducato bianco dei secchi di plastica e lascia il suo bastone vicino alla roulotte. “Voi potete dormire qui, è aperto. Io devo andare giù in città a fare il formaggio, oggi è martedì. Martedì e venerdì, formaggio.” Ripete, come un robot. “Dai fermati almeno a finire il bicchiere con noi.” Una smorfia con la testa traduce il suo rammarico per dover rifiutare la proposta. “Era meglio che mi facevo prete”.
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Marta Sparvoli nasce a Fabriano nel 1998. Frequenta il corso di Didattica e Comunicazione dell’arte nell’Accademia di Belle Arti di Bologna trasferendosi nella città e partecipando alla realizzazione di due mostre collettive. Dal 2018 numerosi viaggi la portano ad interessarsi a tematiche sociali e antropologiche, iniziando progetti personali di ricerca fotografica. Nel 2020 frequenta la Scuola di letteratura e fotografia Jack London dove studia le tecniche di reportage. Attualmente è impegnata nel progetto di reportage fotografico Terra Terra.
Francesco Tavoloni nasce ad Ancona nel 1992. Si laurea in Lingue e Culture Straniere a Roma nel 2017. Nei suoi viaggi utilizza la scrittura come metodo di ricerca ed espressione. Si avvicina al reportage a Lisbona, dove vive e lavora fino al 2019, producendo il suo primo documentario, dal titolo “Un Giorno Felice”. Nel 2020 frequenta la Scuola di letteratura e fotografia Jack London. Attualmente impegnato nel progetto di reportage Terra Terra.