Blog EllePì – Ditecelo, per favore ditecelo…qual è il senso del lavoro‎?

Tempo di lettura 3 minuti

di Lucia Ladowski

ladowskiSono giorni di passaggio. Giorni di mancanza, la malinconia che presiede sempre al rigenerarsi della primavera. “Aprile è il più crudele dei mesi, genera/ Lillà da terra morta, confondendo/ Memoria e desiderio, risvegliando/ Le radici sopite con la pioggia della primavera” scriveva Thomas Stearns Eliot. Aprile è davvero il più crudele dei mesi e mi ha atteso, come ogni anno, al varco. In questi giorni di passaggio e di domande, in attesa del mio personale capodanno, mi sono ritrovata a discutere in una stessa sera di un libro “Ciò che inferno non è” di D’Avenia e del finale de “Le città Invisibili” di Calvino. Del primo mi è stato parlato, al secondo ho fatto io riferimento.

Perché? Perché parlavamo della condizione dei giovani e di chi come me è giovane, ma non così tanto. Rispetto a cosa possiamo considerarci “giovani”? Rispetto alla nostra età anagrafica? Rispetto alla possibilità di inventare ancora una strada? Nei confronti di qualcun altro? Io non mi sento giovane e non mi piace quando utilizzano questo termine per parlarmi dell’avere speranza o della mancata speranza per questa generazione. Come diceva Monicelli “la speranza è una trappola”, come ha detto Dario Fo “io sono pessimista” (“Io sono felice di essere pessimista. Perché il pessimista è quello, a differenza dell’ottimista cosiddetto, che guarda le cose, che va a fondo. Non si accontenta della speranza, anzi, non vuol sentire parlare di “speranza”, ma di fatti veri, reali, di progressione, di trasformazione. Continuo. Io sono pessimista, perché voglio veramente l’Ottimo”). Bisognerebbe far decidere ai giovani e a chi continua a essere definito giovane, quando in realtà giovane non è più, con che tratto disegnare la propria strada. Bisognerebbe guidarli senza per forza dover esprimere un giudizio. Imparare a far porre le giuste domande, invece di offrire risposte che forse non vogliono o a cui semplicemente non sono interessati.

Anche e soprattutto nel lavoro, in cui sì mi sento giovane. E allora fate capire a un giovane cos’è il lavoro, quanto è importante per esprimersi, nell’individualità di uomo e nella collettività di cittadino. Ditegli anche che è difficile ora, ma raccontategli delle storie, vere. Ridiamo vita a questa parola abusata, svuotata, stuprata: speranza. Qual è il finale del Le città invisibili? (Siamo in territorio di spoiler, quindi se non avete letto il libro non inoltratevi oltre). “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e farne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cose, in mezzo all’inferno non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” Le città descritte sono il simbolo della complessità della realtà e le parole di Marco Polo cercano di dare un ordine al caos del reale. Un libro che presenta una “rete entro la quale si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni plurime e ramificate” scriveva lo stesso Calvino nel capitolo dedicato all’esattezza delle sue Lezioni americane.

Siate voi che non vi considerate più giovani a correre questo rischio insieme a chi giovane lo è. Fate attenzione, insegnate ad approfondire, approfondire sempre, interrogarsi, scontrarsi, soffrire. Chiedersi se è giusto, se è quello che vogliono fare. Cambiare idea e tormentarsi ancora. Avere noia, provare esasperazione, essere insoddisfatti e poi soddisfatti. Passare dall’apatia alla felicità. Essere contenti per un vostro feedback e irosi perché non hanno fatto bene ciò che dovevano fare. Fategli capire che hanno sbagliato perché stanno imparando, che non riescono perché forse non è quello che vogliono fare. E ditecelo, per favore ditecelo, che il lavoro non è importante perché riusciremo a guadagnare qualcosa. Il lavoro è importante anche perché toglie tempo e spazio alle persone per noi importanti, ai rapporti scelti, e per questo motivo, anche per questo motivo non dobbiamo abbassarci, umiliarci, accontentarci. Tutti, nessuno escluso, più o meno giovane, in qualsiasi accezione si intenda.

 

Per approfondire

Thomas Stearns Eliot, La terra desolata, Feltrinelli Editore, 2003

Alessandro D’Avenia, Ciò che inferno non è, Mondadori, 2014

Intervento di Dario Fo al Festival del Giornalismo d’Inchiesta di Marsala del 2010.

Italo Calvino, Le città invisibili, Romanzi e Racconti Vol. 2, Mondadori, I meridiani, 1992

 

Profilo dell’autore

Lucia Ladowski, responsabile dell’area comunicazione per la Fondazione Lavoroperlapersona, ha conseguito il master in Editoria, Giornalismo e Management Culturale presso l’Università di Roma La Sapienza e il master in Marketing e Comunicazione presso l’Università LUISS Guido Carli. I suoi interessi riguardano la comunicazione, la scrittura, il marketing. Ha lavorato presso una casa editrice specializzata in libri fotografici, ha collaborato a un festival letterario e ora è marketing executive presso una società che si occupa di e-distribution alberghiera e revenue management.

 

Guarda l’intervento di Dario Fo al Festival del Giornalismo d’Inchiesta di Marsala del 2010.

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