Blog EllePì – Attualità della cultura artigiana

di Andrea Granelli

«La materia e i pensieri dell’artigiano si trasformano insieme, cambiando gradualmente, fino al momento in cui la mente è in quiete e la materia ha trovato la sua forma … Immagino che questa si possa chiamare personalità. Ogni macchina ha la sua, che probabilmente potrebbe definirsi la somma percepibile di tutto ciò che di essa si sa o si sente. […] E’ questa personalità l’oggetto vero della manutenzione della motocicletta» (Robert M.Pirsig, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, 1974). Con questo famoso libro cult, Pirsig anticipa il recupero della cultura artigiana nell’era della tecnica. Condannato a ruoli marginali per la sua rilevanza economica, disprezzato per il suo legame con la tradizione, per la sua visione eroica, anti-tayloristica del lavoro, e per il suo antagonismo naturale all’economia della crescita, l’artigiano sta oggi ritornando protagonista del pensiero economico.

Il libro L’uomo artigiano di Richard Sennet (2008) lo ha infatti definitivamente riportato alla contemporaneità. In effetti l’artigiano ha sempre innovato, creando e modificando i suoi utensili, leggendo i bisogni più minuti dei propri committenti e cercando nuove prestazioni nella materia: un autentico “principe degli innovatori”, come soleva dire Lévi-Strauss.

La figura dell’artigiano è dunque una realtà “bifronte”, che guarda al futuro ma non dimentica il passato, anzi ne attinge a piene mani ma non in maniera pedissequa ed imitativa, ma con un piglio creativo e sensibile al contesto in cui opera, che usa le nuove tecnologie non per sostituire l’uomo con la macchina ma per potenziare il suo operato e la sua capacità trasformativa.

Anche il luogo di produzione (e di vendita) tipico dell’artigiano – la bottega (che alcuni amano chiamare atelier) – sta ritornando di grande attualità. Tra i vari fenomeni che vengono resi possibili in questo luogo – uno fra tutti il dialogo continuativo fra produttore e committente – forse il più importante è la formazione. Gilles Deleuze ha osservato che “maestro non è chi dice ‘fai così’, ma chi dice ‘fai con me’, in un rapporto anzitutto di testimonianza, e poi di fiducia, di equilibrio tra libertà e disciplina” (Gilles Deleuze, citato dall’arcivescovo di Milano Angelo Scola in “Educare con l’esperienza“, Il Sole24Ore, 26 novembre 2009). L’artigiano unisce dunque in maniera naturale il mondo della produzione e il mondo dei servizi e delle soluzioni; e questi servizi (riparazione, formazione e commercio) non sono “ancillari” ma fondativi e trovano – nella bottega – la loro collocazione naturale.

Questa tensione fra tradizione e innovazione e tra prodotto industrializzato e tecnologico e soluzione unica e personalizzata è particolarmente evidente negli “artigiani del digitale”. Se analizziamo in dettaglio le fasi di concepimento, progettazione e gestione delle soluzioni digitali, appare evidente che il progettista deve sempre più frequentemente mettere insieme in maniera armonica (e idealmente unica) molti ingredienti tecnologici: dispositivi, sensori, algoritmi, contenuti e interfacce. Sviluppare il sistema informatico di un’azienda o di una istituzione non è quindi un processo industriale, né deve esserlo. Non si tratta di imporre comportamenti standard – che sarebbero deleteri nel mondo delle imprese, togliendo diversità, dinamicità e in ultima istanza competitività – quanto piuttosto di adattare una “cassetta di attrezzi” ad uno specifico contesto, bilanciando correttamente buone pratiche consolidate con specificità individuali.

Il rapporto del progettista con la diversità che ogni azienda rappresenta deve dunque essere di com-prensione: la diversità è cioè un elemento distintivo da valorizzare e non una imperfezione, un difetto da eliminare, sfuggito dal controllo di qualità costruito a tavolino da qualche ingegnere della produzione che non è mai uscito dai suoi uffici per osservare la vita reale delle imprese. In questo assemblaggio l’azione del progettista digitale è quindi più simile a quella di un artigiano che non a quella di un operaio in catena di montaggio. Il tema non è quindi aumentare la produttività dei programmatori o creare metodologie iper-strutturate che riducano al minimo i gradi di libertà (spesso ritenuti “errori”) del progettista per impedire variazioni sul tema. Ma piuttosto adattare la tecnologia al contesto (non solo operativo ma anche culturale), “sedurne la forma” per usare una bella espressione coniata da Lèvi Strauss nel descrivere il mestiere artigiano (Claude Lévi-Strauss, discorso per il  premio Nonino, 1 febbraio 1986).

E la “materia prima digitale” – l’ingrediente primo dell’”artigiano del digitale” (come affermo in un mio recente libro Artigiani del digitale. Come creare valore con le nuove tecnologie) è sempre più accessibile e diffusa: il movimento dell’open source e la parallela standardizzazione delle interfacce hanno infatti creato un vero e proprio boom di “digitale grezzo” ad elevate prestazioni e a costi particolarmente contenuti sui cui l’artigiano può esercitare le sue attività di adattamento e personalizzazione e quindi “sedurne la forma”.

Nel se-durre (che non vuol dire semplicemente con-durre verso una direzione prestabilita, ma avvicinare a sé, a uno specifico contesto) sta il segreto dell’artigianato digitale. La materia digitale non è inerte ma anzi è quasi magica e – come noto – può vivere di vita propria e andare spesso verso direzioni non previste (né volute) dai suoi progettisti. Pertanto l’artigiano del “digitale” deve non solo sedurre ma talvolta addirittura “sedare” le infinite potenzialità della materia digitale e applicarle a un contesto sempre diverso e cangiante, ma con molti elementi ricorrenti e persistenti.

I punti di contatto di queste realtà del XXI secolo con la cultura artigiana sono quindi molti. Un altro esempio è la manutenzione – riparazione nel linguaggio artigiano – aspetto strutturale e non accidentale delle applicazioni software (a partire dalla sua incidenza nei costi complessivi del progetto).  E allora si comprende come questo binomio apparentemente contraddittorio “artigiano” e “cultura digitale” è invece un motore che genera innovazione e come la cultura artigiana non sia un retaggio del passato ma uno strumento anche per plasmare il futuro. E poiché il tessuto imprenditoriale italiano è imbevuto di cultura artigiana, questa è certamente una ottima notizia per l’Italia. E infatti nel nostro Paese vi sono casi estremamente innovativi (e poco conosciuti) anche nel modo di lavorare e innovare in molti settori (spesso riconducibili alla cultura artigiana e al suo dialogare permanente con le medie imprese eccellenti del made in Italy) che suggeriscono di ipotizzare una vera e propria “via italiana” all’artigianato del XXI secolo.

 

Riferimenti bibliografici

A. Granelli (2011), Artigiani del digitale. Come creare valore con le nuove tecnologie, Luca Sossella editore, Roma.

Pirsig R.M. (1990), Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (Zen and the Art of Motorcycle Maintenance, 1974), traduzione di Delfina Vezzoli, Adelphi, Milano.

Scola A. (2009), “Educare con l’esperienza“, Il Sole24Ore, 26 novembre 2009.

Sennett R. (2008), L’uomo artigiano, La Feltrinelli.

C. Lévi-Strauss (1986), “Discorso per il  premio Nonino, 1 febbraio 1986.

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