Blog EllePì – Questa è casa mia: i luoghi possono avere cura di noi?

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I luoghi possono avere cura di noi? Come offrono senso e appartenenza alla persona? Se infatti costruire un lavoro a misura di umano vuol dire saper interrogare i significati, gli scenari e le problematiche che emergono dal mondo lavorativo, anche i luoghi in cui si abita possono veicolare significati, promuovere esperienze e darsi come contesti di senso che agevolano un certo vivere comune o rendono più o meno gradevole la vita collettiva e lavorativa. Luoghi che la persona vive e nei quali può trovare degli orizzonti significativi per il vivere sociale. I luoghi sono più che delle architetture indifferenti.

A partire da queste riflessioni, sabato 2 marzo alle ore 17, si è tenuto il nuovo ciclo di incontri della Fondazione Lavoroperlapersona ETS della sede di Rosora, con l’interesse di esplorare la storia di Don Giuliano Gigli, parroco di Rosora, che ha deciso di restaurare il campanile della chiesa della cittadina avviando una raccolta fondi e vendendo la sua macchina. A seguito dei saluti da parte del Sindaco e del presidente della Fondazione Gabriele Gabrielli, ad aprire la serata è stato il racconto di Don Giuliano e, ad allietare l’atmosfera, il Piccolo Coro San Michele: una gioia per le orecchie e per gli occhi dei presenti. La storia di Don Giuliano è oramai ben nota in tutta la Vallesina e lui ce la racconta attingendo alla sua memoria e rievocando alcune vicende del suo passato; un passato in cui le campane rosorane, a seconda dei rintocchi, regolavano la quotidianità cittadina informando ed aggiornando gli abitanti di Rosora rispetto agli eventi locali. Le campane di Rosora, racconta Don Giuliano, hanno un nome, le campane di Rosora sono vive. Salvare il campanile, per Don Giuliano, significa quindi salvare la comunità e per questo, il parroco, si sente onorato di aver curato un bene culturale così importante, sia in termini artistici che in termini storici e sociali, poiché un campanile racchiude la storia del luogo in cui sorge, una storia fatta di tante persone. Il campanile, così, si scopre non solo come un elemento architettonico, ma un elemento simbolico in grado di valorizzare l’esperienza degli abitanti della città.

L’importanza del campanile nell’identità del luogo in cui sorge è stata testimoniata anche da Anna Rita Giampaoletti, insegnante di Scuola dell’Infanzia per più di quarant’anni presso le scuole dell’Istituto Comprensivo di Serra San Quirico e per più di vent’anni nella Scuola dell’Infanzia di Rosora. Anna Rita racconta di come la storia di Don Giuliano sia stata fonte di straordinario scalpore e ne ripercorre i passaggi offrendoci la prospettiva cittadina di chi quelle campane, al di fuori del campanile, le sentiva cantare ogni giorno e del valore comunitario che la scelta del parroco ha portato con sé. Anna Rita ci parla del potere del dono, della forza che è in grado di generare il dare, anziché il chiedere in cambio: questa la magia dietro alle gesta di Don Giuliano, che ha smosso gli animi della popolazione di Rosora ed oltre, attirando anche l’attenzione dei media nazionali.

A seguito della visione del film Questa è casa mia, per la regia di Giovanni Panozzo e prodotto dalla Fondazione Lavoroperlapersona, si sono mostrati diversi esempi del rapporto tra abitare e senso di casa; l’esempio del terremoto, per alcuni comuni, è stato il banco di prova dove sentire la tenzione, la crepa o il rinsaldarsi di un certo legame con il territorio quando questo sembra tradire le aspettative. La serata è proseguita con la riflessione di Valeria Melappioni. Valeria, architetta, Phd in Tecnologia dell’architettura, fino a oggi ha coniugato l’attività professionale a quella didattica e di ricerca, approfondendo i caratteri di natura metodologica legati al progetto dello spazio dell’abitare e del lavoro, concentrandosi sulle intersezioni tra il campo di studi della Human-Computer Interaction e le aggregazioni alla scala urbana. Professionista con esperienza nello sviluppo di progetti principalmente nel settore residenziale, come progettista e direttore dei lavori. Attualmente prestata alla politica cittadina di Jesi, ricopre il ruolo di assessora con deleghe a Urbanistica, Mobilità Sostenibile, Lavori Pubblici, Politiche per l’Edilizia Residenziale Pubblica e Housing Sociale. Nella sua presentazione Valeria cerca di rispondere alla domanda che ha condotto le fila del nostro incontro: possono i luoghi avere cura delle persone? La risposta pare essere: sì, se facciamo in modo che siano predisposti a farlo. Attraverso il suo intervento, Valeria ci ha aiutati a comprendere il legame tra spazi e vita della comunità. I luoghi, infatti, mostrano una dimensione performativa nella quale accadono eventi, le pratiche sociali prendono forma e dove i cittadini si mettono in relazione in un certo modo: allargando o diminuendo la distanza, ostacolando o favorendo le occasioni di incontro. Il suo intervento, agile e accattivante, ha delineato non solo un quadro teorico, ma ha attraversato casi studi applicati di diverse realtà internazionali: esempi emblematici dove gli spazi pubblici sono stati ripensati, sono diventati qualcosa di nuovo oppure hanno incentivato la nascita di inaspettate possibilità di relazione.

Infine, rintracciando il tema guida che ha accompagnato la serata, si è riflettuto su come pure il suono delle campane rosorane possa essere considerato una specie di “spazio”: una dimensione abitabile e abitata da significati condivisi, tutt’altro che qualcosa di effimero o sfuggente come si potrebbe pensare. Le conclusioni sono state semplici e chiare: soltanto avendo cura dei luoghi, e occupandosene come un tema imprescindibile per il vivere comune, i luoghi possano altrettanto aver cura di noi. Perché nutrono un senso della condivisione e della partecipazione, alimentando anche un certo grado di democrazia e i modi per co-abitare lo spazio pubblico. Un tema di certo caldo anche sullo sfondo di molte vicende internazionali attuali che, purtroppo, mostrano una difficoltà nel saper condividere un territorio comune, o anteporre la logica del dialogo piuttosto che quella dello scontro bellico.


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