“La scuola come tutrice di Resilienza” – Intervista a Sara Gabrielli, vincitrice del Premio di laurea Valeria Solesin 2018

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Con una tesi magistrale intitolata “La scuola come tutrice di resilienza. Una sperimentazione condotta tra Italia e Spagna” Sara Gabrielli, oggi dottoranda in Psicologia Sociale, dello Sviluppo e Ricerca Educativa presso la Sapienza Università di Roma, ha vinto la terza edizione del Premio “Valeria Solesin” per tesi di laurea magistrali istituito dalla Fondazione Lavoroperlapersona. Alla vigilia del lancio della quarta edizione del premio – cui è possibile avere maggiori informazioni al link: http://bit.ly/2VCZcly – la dott.ssa Gabrielli racconta ci la sua esperienza.

La scuola come tutrice di resilienza di Sara Gabrielli

Come sei venuta a conoscenza del premio di laurea della Fondazione Lavoroperlapersona dedicato alla compianta ricercatrice Valeria Solesin?
Un “in-contro” virtuale mi ha guidato verso una grande opportunità! Infatti, utilizzo moltissimo le piattaforme social per mantenere contatti con diversi ricercatori e professori, seguendo i loro lavori e cogliendo le occasioni di aggiornamento… In questo senso il mondo virtuale può sicuramente rappresentare un collegamento veloce ed un supporto nella ricerca! Proprio da un post sui social, che mi è apparso in virtù dei comuni interessi di studio tra il mio profilo e quello della fondazione, sono arrivata al link in cui era pubblicato il bando del premio di laurea. Devo quindi ringraziare la “rete” di interessi comuni su cui ha agito il destino.

Cosa ti ha spinto a partecipare?
Ho tenuto aperta nel mio browser per alcuni giorni la scheda con il bando. L’ho letto numerose volte per comprendere se ci fosse un punto di contatto tra la mia tesi ed il tema dei “beni relazionali” menzionato. Ho riflettuto a lungo sull’importanza della relazione nel mio percorso accademico, sia con le figure di supporto all’interno dell’Università, sia con le numerose docenti che mi hanno accolto nelle loro classi come ricercatrice, non ultima la relazione con i bambini.
Credo fortemente che insegnare sia in primo luogo una professione, più che una vocazione, e rientra tra le professioni che investono la sfera relazionale in profondità. Una sfera che ha fatto ampiamente parte della mia tesi di laurea, coinvolgendo proprio le variabili socio-affettive.

Il tema che hai trattato nella tua ricerca accademica è quello della resilienza. Quali sono gli aspetti più interessanti che sono emersi?
La resilienza è un tema difficile da definire e da trattare: soprattutto in Italia, sono poche le esperienze condotte nelle scuole e proprio il fatto di aver calato la resilienza nella didattica credo possa essere considerato un fattore importante. Ho cercato il più possibile di inserirmi nella programmazione delle classi in cui ero accolta, per rendere l’intervento legato alla vita quotidiana dei bambini. I risultati migliori, anche in termini di analisi quantitative, li ho ottenuti (insieme alle docenti e ai bambini, è chiaro) proprio dove questo processo è stato più fruttuoso.

Cosa ha significato per te questa esperienza?
Sono una grande lettrice, utilizzo qualsiasi formato e qualsiasi supporto fin da quando ero piccola, e sapere che in esiste un libro che porta la mia firma è un sogno che si avvera. Il valore aggiunto è rappresentato sicuramente dalla persona di Valeria, alla quale è dedicato il premio, e dall’esperienza all’estero che abbiamo condiviso. Quando ho inviato la domanda per candidarmi non avrei potuto immaginare di poter diventare io stessa una ricercatrice e di potermi sentire ancor più vicina a lei…

Anche in base a questa esperienza, quanto ritieni importante il confronto tra ricerca accademica e mondo del lavoro?
Se penso al mio lavoro come maestra, spero di trovare sempre il tempo e le energie per accogliere tirocinanti e ricercatori nelle mie future classi, riservando loro lo stesso caloroso benvenuto che ha circondato me! Se penso al mio lavoro attuale come dottoranda, beh… in questo momento della mia vita c’è una piena adesione e sovrapposizione tra ricerca accademica e lavoro, di questo sono veramente grata.
In generale, non credo che la ricerca abbia vita se relegata in torri d’avorio, se slegata dalla prassi e dalla pratica, che sia nelle scuole o in altri contesti lavorativi. Esiste la possibilità di creare un circolo virtuoso tra mondo del lavoro e ricerca accademica, sfruttando le risorse personali e condivise
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