#Blog EllePì – Lavoro e migranti: Sagapò e VerdeSperanza, due esperienze virtuose in Campania

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L’Italia ha bisogno di migranti e stranieri nel mondo del lavoro, e non pochi. Lo scrive la Fondazione Moressa nell’ultimo bilancio, riportato nelle scorse settimane in prima pagina da molte testate. “Per tornare ai livelli occupazionali pre-Covid, l’Italia avrebbe bisogno di circa 534 mila lavoratori”, si legge nel report. Per lo più stranieri, dato che si parla di occupazioni che gli italiani non vogliono più fare.

Non è un problema nuovo, da anni organizzazioni e associazioni in Italia si occupano di trovare un lavoro degno ai migranti che arrivano, provando a evitare che vengano presi “in custodia” da associazioni mafiose e/o da lavoro nero e sottopagato. In Campania, regione dove la pressione del caporalato e della camorra sulle dinamiche del lavoro è esercitata in modo massiccio, Libera, associazione contro le mafie, si impegna da sola e in rete per offrire vie legali di inserimento nella società dei migranti.

Tra i progetti che coordina e in cui collabora, c’è Emploied, nato con l’associazione Sagapò per contrastare il caporalato nell’area vesuviana. Non solo, grazie a Terradiconfine – associazione che fa parte di Libera per Napoli Est – è nata la cooperativa sociale Verde Speranza, VeSpe, che si occupa di giardinaggio e sensibilizzazione sul verde pubblico.

Mario Traversi è il project manager di Sagapò, cooperativa che da oltre vent’anni si occupa di creazione di imprese con migranti e di orientamento al lavoro con un focus sociale. Per il lavoro svolto hanno vinto il premio Imprenditoria migranti di Moneygram. Il progetto attuale, Emploied, finirà il prossimo 14 aprile, ma si stanno cercando forze per continuare. Il comune di Terzigno (NA), infatti, vorrebbe renderlo permanente, perché fornisce servizi di orientamento al lavoro per i migranti nei comuni vesuviani.

Negli anni Sagapò ha reso possibili molti sogni. Una serie di imprese sono nate, ad esempio la cooperativa di catering etnico Tobili, partita con tutti immigrati ma che ora assume anche italiani ed ha aperto un locale nel napoletano. E anche Parthenhope, attiva nel settore delle pulizie, manutenzione e piccoli lavori, e in cui i migranti lavorano con alberghi e B&B e anche le strutture di accoglienza come Sprar e centri di primo e secondo arrivo. Un caso particolare è, invece, Senaso, che dà supporto agli immigrati senegalesi, in cui uno dei ragazzi lavora oggi come  lettore di lingua francese all’Università Orientale di Napoli.

“Tra 2013 e 2015 abbiamo gestito un progetto europeo, Dialogue, il cui oggetto era la ricerca e la costruzione di un metodo per far fare impresa ai migranti”, racconta Traversi. “Istituiamo dei mediatori culturali che comprendano e segnalino chi ha capacità imprenditoriali. Ci sono molti studi infatti che dimostrano come i migranti hanno più propensione al rischio imprenditoriale. Da lì all’attuale progetto Emploied ci siamo sempre occupati di formazione all’auto impresa”, continua.  

I tassi di natalità in Italia parlano chiaro: sempre più settori avranno bisogno di migranti, anzi andrebbe allargato l’inserimento a infermieri e medici. Il tasso di immigrati sovra qualificati è altissimo ed è cosa nota”, spiega ancora Traversi. “Adesso sta accadendo con i medici ucraini, ma prima o poi accadrà anche con i medici africani. Il fatto è che non c’è concorrenza, ma soprattutto non c’è scelta: bisognerà fare lavorare gli immigrati. Non è un caso che anche il governo di destra sta allargando i numeri del decreto flussi e più 7/8mila immigrati e si stanno ponendo il problema di dove farli arrivare”.

La Fondazione Verde Speranza (abbreviata VeSpe) ha l’obiettivo di creare opportunità lavorative per i soggetti a margine. “L’idea era proprio di non creare differenze tra stranieri e italiani, per questo insistiamo sulla dicitura soggetti a margine, ci teniamo”, dice Luciano Errico, rappresentante di VeSpe e dottorando in Fisica. VeSpe nasce a Ponticelli da quattro italiani e quattro richiedenti asilo: “Per emancipare le persone straniere – dire fermo Errico – ci vogliono due cose: lingua e lavoro”. Infatti lui stesso prima di VeSpe insegnava italiano alla comunità migrante di Ponticelli. VeSpe porta e ha portato avanti progetti di sensibilizzazione ambientale anche in scuole e carceri. “C’è stato un progetto di orticoltura in una scuola elementare, Porchiano-Bordiga, a Ponticelli, e lo ha gestito un ragazzo di colore. Non si tratta della rottura di una barriera per noi, è la dimostrazione che semplicemente non era stato fatto. Infatti non ci sono stati problemi e per la prima volta un lavoratore di colore è stato inserito nel tessuto comunitario con un ruolo attivo e importante, a contatto coi bambini”.

Se il lavoro nella scuola è concluso, quello al Tribunale minorile Napoli è ancora attivo. “Portiamo avanti il progetto “Ispirarsi” – prosegue Errico- dove istruiamo sul verde pubblico sei ragazzi dell’area penale minorile, qualcuno ora è diventato maggiorenne. Per nove ore a settimana sono con noi e li educhiamo all’ambiente cercando di instradarli verso una formazione professionali da giardinieri, per evitare che vengano risucchiati dal lavoro nero”.

VeSpe nasce proprio così. “All’inizio volevamo soltanto trovare un lavoro ai migranti, ma ci siamo scontrati con il dark-side del lavoro: nero, sottopagato, poco dignitoso e via dicendo”, racconta Errico. Ecco “l’idea ribelle”, come la chiama Errico: “Ci siamo detti, perché non creiamo noi una realtà lavorativa? La cosa incredibile è stato lo sguardo di incredulità negli occhi dei nostri amici migranti quando gli abbiamo spiegato il processo di partecipazione al bando. ‘Davvero se hai una buona idea ti danno i soldi?’, dicevano”. Da allora le cose sono cambiate, “uno dei ragazzi ha un contratto a tempo indeterminato, sta meglio di me”, scherza Errico. “Lottiamo contro la cultura del lavoro buono e cattivo. Tipo, se vuoi essere uno di successo non devi fare certi lavori: non ci stiamo. Dovremmo dare dignità sia al lavoro di bracciante che a chi lo fa, come per gli operatori ecologici e sociali.


Enrico Mascilli Migliorini è nato ad Avellino nel 1994, si è laureato in Storia a Firenze con una tesi sui libri proibiti e, successivamente, per la laurea magistrale ha realizzato una tesi di Archivio sugli zingari a Bologna in età moderna. Ha scritto per la rivista dell’Università Pablo de Olavide di Siviglia (SPA), per l’Università di Leeds (Uk), per la Rivista di studi Napoleonici e per Il Ducato, testata dell’istituto per la formazione al giornalismo di Urbino. Dal novembre 2021 collabora con la redazione de Il Fatto Quotidiano. Da marzo 2023 è un ricercatore Cnr-Irpps

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