Un passo dopo l’altro: viaggio a piedi lungo la via Emilia – 2a tappa: Forlì – San Lazzaro

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La Fondazione Lavoroperlapersona nasce per valorizzare il lavoro, espressione della persona, attraverso la ricerca, l’educazione e la promozione culturale e sociale. Ogni giorno cerchiamo di farlo utilizzando linguaggi diversi che spesso si incontrano con quelli dell’arte, della letteratura e della fotografia. É questo il caso della felice collaborazione con la Scuola Jack London, ideata dallo scrittore Angelo Ferracuti e dal fotografo Giovanni Marrozzini, con la quale per il secondo anno finanziamo un reportage. Dopo il progetto Terra Terra alla ricerca dei mestieri perduti lungo l’Appennino, presentiamo “Un passo dopo l’altro: viaggio a piedi lungo la via Emilia”. Il reportage, lungo 280 chilometri, è realizzato da Floriana Dinoi, fotografa e artista visuale ci racconterà persone, mestieri e la vita che corre lungo la via simbolo dell’identità storica, culturale, economica dell’Italia e dell’Emilia Romagna.


Il quarto giorno riprendo a camminare lungo questo paesaggio dove si distende la via più dritta d’Italia; la prossima tappa è Forlì. Imbocco uno stretto sentiero che salendo diventa una vecchia strada d’asfalto che corre verso la stazione. Passo dal campo alla strada inerpicandomi in salita, raggiungendo un punto panoramico da dove posso vedere l’intera distesa del paesaggio, e provo un fremito di piacere tutte le volte che attraverso la linea bianca della statale, una linea di demarcazione che comporta la scoperta di nuovi paesaggi e nuovi luoghi. Incontro sempre meno passanti, la strada diventa più solitaria e pericolosa, si apre sulla sinistra, costeggiando un contrafforte collinare per andare verso Forlimpopoli. In lontananza una giovane donna mi fa un cenno con la mano, invitandomi. Mi avvicino timidamente. Si chiama Alessandra, mi domanda come mai sono per strada da sola, dove sto andando, così le racconto la storia del mio cammino. Mi dice che possiamo continuare a parlare passeggiando all’interno della sua azienda, che si trova lì vicino, la raggiungiamo insieme.

“Lavoriamo qui da sette generazioni” mi spiega, “dal 1850”. È un’azienda del settore vivaistico, lei si dedica alla costruzione di serre adatte alle piante tropicali, alle collezioni di Orchidee e Anthurium, adottando nuove tecniche per la coltivazione di piante in vaso fiorite, mantenendo frequenti contatti con i colleghi di varie parti d’Italia e d’Europa. “Abbiamo anche una produzione di giovani Spatiphyllum, Anthurium, Philodendron, Felci, Aralie e molte altre piante, ottenute dai semi o per talea”, racconta, “sperimentiamo diverse tecniche di coltura, con appassionato interesse verso tutto ciò che è nuovo: l’idrocoltura, da semplice curiosità, si trasforma gradualmente in prodotto di mercato e vengono allora collaudate tutte le possibili innovazioni tecniche”. Mi indica in varie parti del vivaio un fiore, oppure una rosa, ai quali ha dato il nome dei suoi figli. 

Giunta alla vista completa di Forlimpopoli, svolto verso una stradina e incomincio una lieve salita, ai lati della strada una grande distesa di bellissimi prati verdi, con sullo sfondo alcune colline; ma dopo qualche metro incrocio tortuosi viottoli pieni di fango che sporgono sopra pendii coltivati con bassi vigneti, e quando inizia a piovere non riesco più a camminare sul terreno viscido, e trovo riparo sotto un albero dai grandi rami frondosi. Dopo un paio di ore di sosta, riprendo il cammino, decido di andare a cenare, mi concedo un pasto di pesce accompagnato da un vino bianco fresco in un locale spartano, dallo stile rustico. La giornata finisce in una camera d’albergo pulita e in ordine, nella quale trovo asilo.

Quando il giorno dopo riparto, mi trovo vicino al confine simbolico, tra Romagna e l’Emilia, continuo sulla statale che mi porterà a Forlì. Tracciando la geografia di questa strada incontro capannoni industriali e supermercati, spesso industrie abbandonate.  Lungo la strada decido di fermarmi per fare colazione in un bar del paese, dove incontro un uomo seduto su una sedia di legno che si trova all’esterno, ordino (come tutte le mattine) un caffè doppio e un pezzo di pizza, l’unico posto libero è vicino a lui, chiedo se posso sedermi. Comincia a piovere. Dopo il caffè, mi presento, e l’uomo seduto al mio fianco, Alberto, mi dice che non posso continuare a camminare con questo temporale, così mi accoglie nella sua piccola casa per offrirmi un pasto, intorno una distesa verde desertica e un vecchio casolare dismesso che domina una magnifica vista in lontananza; mi accorgo sempre più che gli scenari emiliani hanno ciascuno un carattere peculiare. Alle due del pomeriggio, nonostante le premure di Alberto, che mi prega di fermarmi e aspettare che smetta di piovere, riprendo ostinata il mio cammino. La periferia e le campagne vicino Forlì son bellissime, e ci sono delle sezioni di paesaggi molto suggestivi, che io voglio provare a fotografare, ma continua a piovere sempre più forte; così proseguo , una canzone in testa fa: ”Veo, còmo caen de mi piel” letteralmente vuol dire: “Vedo, come cambia la mia pelle,” continuo a cantarla seguendo il sentiero, a destra costeggiato da solitarie colline, a sinistra invece c’è un campo di grano. Intanto il cielo si è schiarito, il sole è venuto fuori e mentre entro nella città di Forlì, e poco prima di arrivarci un contadino ferma il trattore e mi stende una busta piena di albicocche. Sono arrivata a Forlì, la stanchezza si fa sentire,  cerco un hotel dove passare la notte.

Il giorno dopo continuo a camminare sulla strada che da Castelbolognese arriva fino a Castel San Pietro Terme, dove incontro paesaggi di grande fascino aperti su scenari western: un casolare, quasi distrutto, bellissimo per il colore e anche pittoresco per la forma, sotto le cui mura sono sparsi alberi di aranci, limoni, fichi, un grande prato verde va dalle colline alla strada attraversato dall’acqua di un torrente. Tutta la ricchezza di questa vegetazione emiliana compare sullo sfondo, formando splendidi angoli ovunque. Dopo trentacinque chilometri sotto il sole cocente, con paesaggi semiabbandonati e campagne aperte, incontro Francesca e Alberto che con gentilezza mi chiedono se ho bisogno un passaggio e mi invitano a casa loro. Arrivati nella casa in collina distante tre chilometri dal paese, scendendo dall’auto vengo accolta dall’abbraccio di una bambina che mi saluta come se ci conoscessimo da sempre e inizia a parlare veloce, mentre la ascolto stupita. La casa si trova in una magnifica posizione, con piante da frutto intorno, alberi di ulivo e vigneti. All’ora di cena ci sediamo attorno a una tavola imbandita alla perfezione, con del buon vino e dell’ottimo cibo emiliano, tigelle e salumi.

Mi raccontano che sono da sempre legati alla natura, coltivano frutta e verdura, si occupano del mantenimento delle vigne e degli alberi di ulivo, producono vino e olio. Così, tre anni fa è nato questo progetto e hanno deciso di recuperare un vecchio casolare del 1800, chiamato Gramandola, e adesso non vivrebbero in nessun altro posto, nonostante la difficoltà del portare avanti questi progetti.
 Alberto è un professore universitario e ricercatore, lei un’ex psicoterapeuta. Hanno vissuto per diverso tempo a Gerusalemme, e una volta tornati in Italia hanno deciso di avviare la propria attività: ospitano gente da diverse parti d’Europa e organizzano durante la settimana piccoli concerti e laboratori artistici.
 Sono fieri e orgogliosi di tutto quello che hanno creato fino ad ora. Vivono con la speranza e la certezza di ampliare sempre più questo spazio ma anche conoscere ogni giorno nuova gente nella fede condivisa dell’incontro. La mattina seguente, prima di salutarci, mi spiegano che la loro più grande soddisfazione è quella di incontrare gente affettuosa e gentile, poi m’invitano a tornare, ci diamo un lungo abbraccio e, voltandomi di spalle, li saluto mentre mi scattano una foto ricordo.

Il sentiero che imbocco mi porta verso Bologna, ho 24 chilometri davanti e l’unica che adesso mi tiene compagnia lungo la strada è la mia ombra. Poi all’improvviso il messaggio di amico interrompe la camminata. È una frase di Rousseau: “Non ho mai pensato, tanto vissuto, mai sono esistito e con tanta fedeltà a me stesso, se così posso dire, quanto in quei viaggi che ho compiuto da solo a piedi. La camminata ha qualcosa che ravviva e anima i miei pensieri: non riesco quasi a pensare quando resto fermo; bisogna che il mio corpo sia in moto perché io vi trovi il mio spirito. La vista campagna, il susseguirsi di spettacoli piacevoli, l’aria aperta, il grande appetito, la buona salute che acquisto camminando”. Adesso la scena che mi circonda è selvaggia; case devastate le cui rovine pendono ancora sopra vecchi alberi. Sopra di me vedo i colli che decido di attraversare l’indomani, per metà la luce si presenta ciana, per metà porpora; vaghi segni di vita umana che sono in contrasto con la solitudine che li circonda. Più avanti le costruzioni, alberi robusti e fitti ho difficoltà ad avere una vista generale di San Lazzaro.È la mappa che segna la strada, e quando segna la strada, finisce anche per segnare una storia.

E qui, quasi arrivata a Bologna, si vede benissimo. Arrivata a San Lazzaro, normali apparizioni di periferia circondano una campagna aperta, un crocefisso legnoso affiancato dalla strada costellata di automobili, insegne di bar e tabacchi in lontananza, una vecchia stazione di servizio, poi qualche casa abbastanza moderna e edifici e industrie ormai abbandonate. Un gommista, un ferramenta, un negozietto di auto e moto: sono arrivata, insomma. San Lazzaro è un piccolo paese, ti accoglie con una grande indicazione con su scritto: ‘L èddg – San Làzar’ in dialetto bolognese, che affianca il fiume Savena e oggi lambisce i suoi confini da nord a sud. La notte qui è silenziosa e c’è la luna piena, a parte il clicchettio di inquiete cavallette.



Sono Floriana Dinoi, nata nel 1997, fotografa ed artista visuale le cui radici affondano nel sud Salento, a Manduria. Dopo gli studi in Didattica e comunicazione – presso l’Accademia delle Belle Arti di Bologna – ho preso una borsa di studio che mi ha permesso di frequentare una Biennale in Fotografia Contemporanea allo Spazio Labò. Ed è a Bologna che ho iniziato a lavorare nel mondo della fotografia pubblicando saltuariamente fotografie per il sito PhotoVogue e partecipando alla realizzazione di due mostre collettive con l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 2021 ho intrapreso un lungo viaggio per Città del Messico ed è proprio in questo viaggio che ho preso consapevolezza e iniziato ad interessarmi a  tematiche sociali, mettendo poi in pratica  progetti personali di fotografia. Successivamente a questo viaggio ho intrapreso il percorso scolastico della Jack London che mi ha fatto acquisire una consapevolezza maggiore sul mondo del reportage, dopo una preparazione teorica ho avuto l’opportunità di mettere subito in pratica quello che avevo studiato, svolgendo il progetto Un passo dopo l’altro – Un viaggio a piedi lungo la via Emilia.

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