Seminario Accoglienza 2014 – Apertura del Presidente Gabriele Gabrielli

Tempo di lettura 7 minuti

Di generazione in generazione: teorie e pratiche dell’accoglienza *

Offida, 18 settembre 2014

Buona sera a tutti e benvenuti a questo terzo appuntamento dei Seminari Interdisciplinari sull’Accoglienza. Grazie per la vostra partecipazione che incoraggia la Fondazione a proseguire questa esperienza e a consolidarne il tracciato. E un grazie particolare a tutti i relatori/testimoni che conosceremo in queste tre giornate. Offida non è facile da raggiungere, ce ne rendiamo conto. Richiede volontà. Essere qui ha richiesto ad alcuni di voi uno sforzo aggiuntivo, lo sappiamo, e per questo il grazie è ancora più doveroso. Siamo convinti però che la bellezza di questo territorio, di questa cittadina del Piceno, la sua ospitalità, i contenuti e l’atmosfera di questo nostro appuntamento ripagheranno la fatica. Un grazie e un saluto riconoscente poi all’Amministrazione Comunale, al Sindaco Valerio Lucciarini De Vincenzi, al vice sindaco e assessore alla cultura Isabella Bosano, all’assessore al turismo Piero Antimiani che sono qui stasera con noi.

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Qualche riflessione sul tema delle giornate. Seminariali. Senza andar troppo lontano, alla ricerca di categorie e strumenti propri degli studiosi, credo si possa partire invece dalle nostre percezioni e dalla vita concreta di tutti i giorni:

– da alcuni spunti che ci hanno suggerito le storie raccontate nel film Di generazione in generazione che abbiamo appena visto

– da quella quotidianità e da quelle storie di vita attraverso cui noi tutti sentiamo addosso le paure dell’umanità:,

– la paura di essere esclusi,

– la paura di non contare nulla

– la paura di essere usciti dal “giro”

e, con queste paure,  il senso di vuoto che le accompagna. Credo che ci siano motivi più che sufficienti per tematizzare, per mettere cioè nell’agenda, l’accoglienza.

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Basterebbe il buon senso per diventare tutti operosi nel costruire una convivenza più degna dell’umanità e perseguire il bene comune. Il buon senso ancora ci dice che se il mondo in cui viviamo è pieno di diversità, questa va accolta e rispettata. Perché se ti metti in testa di “andarle contro” – e la diversità può essere negata in tanti modi e in molti luoghi – il buon senso sta lì che ti incalza e ti domanda: “l’hai costruita tu la diversità o l’hai trovata?” Se l’hai trovata, allora, rispettala! comprendila in tutto il suo valore, perché altrimenti ti isolerai e rimarrai prigioniero delle molte forme possibili di individualismo,

– a cominciare da quella che ti fa pensare che tutto il mondo gira attorno a te,

– che i collaboratori servono per dar luce alla tua leadership,

– che la guida di una società è affare di pochi, di elite e non invece un affare che interessa tutti, la gente

– che la carriera è soltanto salire in testa agli altri e così via.

Tutto questo è stato un po’ il tessuto – fatto di tanti fili –  del nostro primo seminarioLa diversità come dono e sfida educativa.

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Sempre iI buon senso però ci dice anche tante altre cose sull’accoglienza. Per esempio che occorre vigilare affinchè la relazione tra tecnologia e umanità sia una relazione buona. L’umanità sembra diventare sempre più intelligente. Non solo gli uomini, in verità, perchè anche le cose stanno diventando sempre più intelligenti e dotate. Il buon senso però ci invita, con tanti segni dei tempi, a stare attenti e ci dice:

“Attenzione a come utilizzate l’intelligenza! Attenzione a come la usate nei territori e nell’ambiente, nelle città, attenzione a come la utilizzate nelle imprese”.

Ci strattona con forza  per risvegliare la nostra coscienza critica su questi aspetti. Ci invita a essere vigili quando viviamo – e l’epoca in cui viviamo lo è –  una situazione di eccesso di potere tecnologico insieme a un deficit di sapere.

A cosa serve dunque la coscienza critica? Non a fermare la tecnologia, che è un gran bene per l’umanità, ma per vigilare che l’intelligenza con cui riempiamo territori, città e imprese sia concepita sempre a servizio della persona e trovi un limite invalicabile, non negoziabile, proprio nel suo rispetto. La coscienza critica ci ricorda anche un’altra cosa fondamentale: che c’è un’etica che viene anche dall’esterno di noi,  un etica eteronoma, un’etica che non guarda solo al campo dei nostri interessi, del soggetto, ma un’etica che ci interroga sulle conseguenze delle nostre azioni per quelli che verranno dopo di noi. E’ l’etica della responsabilità, un’etica che ci fa rileggere la nostra relazione anche con la terra, con la natura, con l’ambiente in cui viviamo. Tutto questo è stato il filo conduttore del secondo seminario, un anno fa: Territori, città, imprese: smart o accoglienti?

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Seminario-2014_0041

Santa Maria della Rocca. Apertura 3° Seminario Interdisciplinare sull’Accoglienza.

Attingendo ancora alla fonte del buon senso troviamo un’altra domanda possibile: “a cosa serve – e chi ne trae vantaggio – ridurre e appiattire tutto, costruire  solo omologazione, pensiero unico, esistenze ai margini, senza partecipazione?” Perché dovremmo farci da parte? Perché dovremmo consentire la messa a terra di visioni personalistiche, elitarie e non giuste della politica, della società, dell’economia, dell’educazione? Perché? Il buon senso ci dice, infatti, che non si fanno passi avanti se chi guida la marcia – perché c’è sempre qualcuno che marcia avanti a noi nei luoghi sociali dove cresciamo: i genitori, gli amministratori delle comunità, gli imprenditori, gli educatori e gli insegnanti, i capi, i leader di associazioni e così via – non è guidato a sua volta da una visione e da un progetto inclusivo, dall’idea cioè che le leadership si devono preoccupare di organizzare le condizioni perché tutti possano dire:  “Mi sento una persona”! Declinare l’Accoglienza, così, diventa un invito diretto a tutti noi – come persone, come gruppi, come organizzazioni – a vegliare che nei luoghi dove si esprime la politica, la società nelle sue varie componenti, l’economia vengano coltivati meccanismi e strumenti che incentivino partecipazione e non accettazione silenziosa di quello che succede, quell’accettazione che nasce dal disorientamento e dallo scoraggiamento, che fa abbassare le spalle e che ci rende un po’ tutti “curvi”, quell’accettazione che ci vuol convincere che non si può far niente per cambiare. Quell’accettazione silenziosa però che può animare anche quel Furore che nasce dalla disperazione della gente quando si sente tagliata fuori dall’umanità; quel furore che lo scrittore, premio Nobel, John Steinbeck ha straordinariamente raccontato nel suo capolavoro del 1939.

No, non è questa la via! Serve partecipazione e non elitarismo. Serve la gente, serve la gente come parte attiva e protagonista di questo cammino che ha come fine lo sviluppo della persona, quello di preservare, costruire, restituire beni comuni.

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Ci sono molti esempi che confermano la solidità e la sapienza di queste domande che ci poniamo – con il buon senso – riflettendo sull’Accoglienza. Non c’è bisogno di cercarli nei libri di storia, basta riflettere sugli accadimenti che viviamo. Abbiamo tanti esempi davanti a noi – tanti esempi che viviamo “in diretta”- che  dovrebbero darci una scossa per tenerci svegli e per reagire. Declinare l’Accoglienza, in questa prospettiva, diventa allora un buon esercizio per vegliare e non abbassare la guardia. Per non cadere in quella melma culturale che ti dice che il mondo non si può cambiare, che l’economia buona è questa e non ce n’è un’altra possibile, che c’è sempre chi vince e chi perde, chi ha lavoro e chi non ce l’ha. Un esempio tra i molti che stiamo vivendo in diretta è la paura che proviamo quando leggiamo le infografiche che ci illustrano i conflitti nel mondo, quelli lontani e quelli vicini, quelli vicinissimi. Anche quelli dietro casa, quelli sul pianerottolo, quelli che affliggono le pareti domestiche.

E cosa dire dei molti esempi di cattiva leadership che non ti fanno sentire una persona? Tutti i giorni ascoltiamo storie di persone che ti raccontano

– che nell’ambiente in cui lavorano “è meglio stare zitti”,

– che è cambiata proprietà e ora “non si può dire nulla”

– che da quando “c’è quello lì, si fa  carriera solo se rispetti le regole”.

Badate bene! Non è il rispetto delle regole scelte da una comunità e che è una virtù. Questa è un’altra cosa. Si tratta d’altro. E’ quell’invito intriso di menefreghismo, accidia, resa, furbizia, tornacontismo che il comico Crozza, imitando ormai il sempre più noto Antonio Razzi, mette in bocca a quest’ultimo…. Ecco, dietro quel “pensa ai fatti tuoi, non ti immischiare” c’è tutto questo. Una strategia di esclusione, un voler tener fuori, un allontanamento dal tavolo della condivisione dei beni dell’umanità…

No, non ci si può stare, no, non ci stiamo. Declinare l’Accoglienza significa nell’esercizio di questi seminari dare un piccolo contributo per risvegliare la coscienza del dovere che abbiamo di vigilare e soprattutto di cambiare in meglio quello che facciamo, passo dopo passo, perché non è un compito di qualcun altro, è un compito nostro, di ciascuno di noi. Declinare l’Accoglienza nella prospettiva di questi seminari significa ritagliare allora un piccolo spazio per vegliare e non abbassare la guardia.

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Stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti straordinari e questi cambiamenti hanno diversi motori. Sono motori culturali, economici, tecnologici. Sono  tutti cambiamenti che interpellano con molte domande:

–        la politica, l’economia e il lavoro,

–        i sistemi educativi (le famiglie, le scuole, l’università),

–        i sistemi di governo delle comunità, dei territori, dei paesi, dei sistemi sovranazionali

–        i cittadini e i gruppi intermedi,

–        imprenditori e manager

–        ciascuno di noi.

Sono questioni che s’incarnano in quest’epoca, si storicizzano cioè attraverso il cammino di chi vive ora, qui, in questi anni ma che non sono esclusive dell’oggi. Pensiamo coinvolgano ogni generazione. Sono questioni di sempre, potremmo dire, sono questioni però – e questo è importante – che si tramandano libere di formarsi e attualizzarsi in ogni epoca. Ecco allora la dimensione della responsabilità e il fatto che ogni generazione, ciascuno di noi è – per la sua parte – responsabile di come tutte le questioni che si articolano attorno a questa parola per noi straordinaria – che è Accoglienza – prendono forma nella nostra storia. Ci piace pensare che in questi seminari si possano trovare allora buoni materiali, fertili conversazioni, storie interessanti per far crescere quella consapevolezza senza la quale non c’è libertà.

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La tesi di questo terzo appuntamento, insomma, si sviluppa attorno all’idea che – di generazione in generazione – si formano, si tramandano, si aggiustano teorie e pratiche dell’accoglienza. Dove  le prime (le teorie)  sono capaci di proporre un quadro concettuale utile a comprendere e interpretare le seconde (le pratiche), ossia le risposte concrete e le progettualità che si sviluppano nel tempo per consentire il vivere sociale e il progresso dell’umanità. All’interno di queste tre giornate troveremo allora risorse culturali, esperienziali, relazionali per approfondire le prime, cioè le teorie, ma anche per “toccare” e “visualizzare” le seconde, cioè le pratiche, quello che sta accadendo nella realtà e che può essere illuminato dalla luce della teoria. Perché non vogliamo assolutamente che le idee stiano da una parte e la realtà da un’altra. Idee e realtà, riflessione e pratica – infatti – devono dialogare insieme continuamente e alimentarsi reciprocamente. In questi “tre giorni” – naturalmente – potremo mettere al centro soltanto alcune componenti dell’Accoglienza. Narreremo così:

–        l’accoglienza come tessuto culturale delle sapienze di tutti i tempi

–        l’accoglienza come costruzione di forme di cittadinanza e impegno civile che includono e formano alla convivenza, allontanando la minaccia dei conflitti vecchi e nuovi

–        l’accoglienza tra generazioni che si succedono non per trattenere, ma per dialogare e restituire;

–        l’accoglienza per apprendere, conoscere e condividere, come una categoria per far dialogare persone, generazioni e tecnologia;

–        l’accoglienza come forma per ridisegnare e ri-generare i luoghi e i territori facendoli diventare esperienze di costruzione di legami.

Per comprendere la fertilità dell’Accoglienza, infatti, dobbiamo chiamare in causa prospettive, discipline e ambiti diversi, come le religioni e le sapienze, la cittadinanza e i diritti, l’età e l’economia, l’apprendimento e la tecnologia, l’ambiente e il territorio. Ambiti diversi che presentano però molti punti di contatto e che possono generare connessioni e una visione unitaria. Tutto questo sempre per orientare con rinnovata passione il nostro agire concreto e il nostro impegno nei luoghi della quotidianità.

Buon seminario a tutti.

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Gabriele Gabrielli è Presidente della Fondazione Lavoroperlapersona e docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane all’Università LUISS Guido Carli e all’Università Politecnica delle Marche (sede di San Benedetto del Tronto) E’ Direttore del programma Executive MBA della Luiss Business School. Giornalista pubblicista, formatore e coach, i suoi ambiti di attività riguardano la consulenza, ricerca e educazione nel campo dello sviluppo organizzativo, leadership e risorse umane. Tra i suoi volumi più recenti ci sono (con Profili S.), Organizzazione e gestione delle risorse umane, Isedi, Torino, 2012;  Post–it per ripensare il lavoro, Franco Angeli, Milano 2012; People management, Franco Angeli, Milano 2010.

* Intervento di apertura di Gabriele Gabrielli, Presidente della Fondazione Lavoroperlapersona, al 3° Seminario Interdisciplinare sull’Accoglienza (“Di generazione in generazione: Teorie e pratiche dell’accoglienza”), Offida, 18-20 settembre 2014.

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