Blog EllePì – Per una economia di servizio alla società

di Roberto Mancini

Un ordine per l’economia. E’ la cosa che più ci manca. Penso a chi lavora onestamente e a chi altrettanto onestamente s’impegna a dare lavoro ad altri; ai molti che sono sfruttati e sovente spinti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro pur di non essere licenziati; a chi si affanna nella ricerca di un’occupazione; a quanti cercano di aiutare qualcun altro a tirare avanti; a chi paga le tasse con lealtà verso la comunità nazionale. Penso anche alle donne e agli uomini che fanno del loro meglio per dare vita a un’altra economia. Tutte queste persone hanno il diritto di chiedersi: dove vanno a finire i nostri sforzi ?

Il nodo principale della crisi attuale sta nel fatto per cui la buona volontà di molti e le energie sane vengono profuse tuttora all’interno di un sistema intrinsecamente patologico. E’ come se su una grande nave lanciata contro la costa rocciosa alcuni passeggeri cercassero di evitare l’impatto remando in direzione opposta, mentre però nessuno riesce ad arrivare al timone per cambiare la rotta. L’economia, questo transatlantico impazzito, non cambia profondamente solo perché alcuni, nel loro ambito quotidiano, coltivano l’equità e la solidarietà e mettono le persone al primo posto anziché il denaro. Questo impegno è indispensabile e prezioso, se non ci fosse tanti sarebbero già stati travolti e nessuno potrebbe neanche immaginare un sistema economico migliore. Ma gli sforzi individuali e comunitari vanno dispersi se non si pone mano alla costruzione di un autentico ordine economico del mondo. L’alternativa tra pianificazione autoritaria e mercato selvaggio è il mortificante risultato che sin qui, a livello mondiale, si è stati capaci di produrre.

Posto che la pianificazione statale di stampo sovietico è giustamente tramontata, resta il mercato come megadispositivo completamente inaffidabile, la cui indole non è né quella di una realtà naturale, né quella di una realtà culturale pubblica e democratica, bensì è l’indole tipica di una macchina “regolata” solo dalla mancanza di regole, di un orientamento consapevole, di un ordinamento condiviso. Il mercato selvaggio è un misto tra la sovranità antidemocratica di pochi gruppi speculativi e grandi compagnie, da un lato, e la sovranità disumana, cieca e impersonale del puro gioco dei capitali e dei riflessi condizionati del mercato stesso, dall’altro. E’ evidente che non esiste ancora un vero ordine mondiale: l’economia non ha mai ancora conosciuto una gestione democratica. Il modo onesto di impostare la questione non è chiedersi se sia possibile riordinare l’economia, ma è chiedersi quale sia la via migliore per farlo. Karl Polanyi sottolinea che il confronto con i problemi posti dal capitalismo “è una questione di politica estera” (K. Polanyi, La libertà in una società complessa, Torino, Bollati Boringhieri, 1987, p. 146), perché solo un’azione di governo dell’economia che sia nel contempo democratica e di portata mondiale può dare risposta ai bisogni e ai diritti dell’umanità.

Intravedere un simile orizzonte è una grande svolta culturale, che maturerà solo quando essa diverrà un orientamento politico internazionale prevalente. Il profilo della nascita di un ordine economico per il mondo emerge anzitutto con l’idea di un accordo internazionale globale che giunga alla definizione di una serie di regole fondamentali. E’ essenziale che questo ordinamento globale non sia solo nel segno della limitazione e del controllo, ma nel contempo nel segno dell’impulso a un’economia di servizio alla società. E’ poi importante che le diverse aree del mondo abbiano un loro ordine macroregionale democratico, che assuma gli orientamenti globali con la specificità di ogni area. I singoli Paesi e le loro regioni interne potranno così inserirsi non più in quella competizione mortale di tutti contro tutti che strozza la vita di persone e popoli, bensì in un piano di sicurezza economica che riconosce a tutti il diritto di esistere e di fiorire. Questo percorso pone il gigantesco problema di allestire i canali comunicativi e decisionali, le istituzioni e in generale le molteplici condizioni per una democrazia così ampia e inedita. Per affrontarlo con successo bisogna capire che la cooperazione onnilaterale è la sola risposta adeguata alle necessità della vita comune dell’umanità e della natura. Invece la competizione, ancora oggi esaltata come salvifica, è nient’altro che la nostra tomba.

Riferimenti

K. Polanyi, “La libertà in una società complessa“, Bollati Boringhieri, Torino 1987.

 

Profilo dell’autore

Roberto Mancini è professore ordinario di filosofia teoretica presso il Dipartimento di filosofia e scienze umane dell’Università degli studi di Macerata, dove è anche Vice Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. Collabora con le riviste “Servitium”, “Ermeneutica Letteraria” e “Altreconomia”. Dirige la collana “Orizzonte Filosofico” dell’editrice Cittadella di Assisi. E’ membro del Comitato Scientifico della Scuola di Pace della Provincia di Lucca e della Scuola di Pace del Comune di Senigallia (An). Tra le pubblicazioni più recenti: “La logica del dono. Meditazioni sulla società che credeva d’essere un mercato” (EMP, 2011),  “Idee eretiche. Trentatré percorsi verso un’economia delle relazioni, della cura e del bene comune” (Altraeconomia, 2010), “La buona reciprocità. Famiglia, scuola, educazione” (Cittadella editrice, 2008).

 

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