Blog EllePì – Interno ed interiore: la città termometro della salute dei legami

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di Luca Alici

Scrive Teofilo di Antiochia ai pagani che gli chiedevano di mostrare loro il suo Dio: “Mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il tuo Dio”. Qualche secolo dopo, per traslato, potremmo dire all’uomo di oggi in cerca di se stesso: “Mostrami la tua città e io ti mostrerò il tuo uomo”. E cosa ci direbbe oggi la città dell’umanità nelle sue costitutive dinamiche relazionali? Se volessimo estremizzare, provocatoriamente potremmo dire: il freddo anonimato di alcuni luoghi pubblici e la solitaria rinchiusa esistenza di privati cittadini. Due immagini, apparentemente così lontane, che come vasi comunicanti ci dicono la connessione tra le difficoltà quasi croniche dei legami e la crisi quasi patologica della città. Sotto il fuoco incrociato dei dubbi sulla possibilità di durare, della strumentalizzazione in senso funzionale e della individualistica centratura sul proprio sé, il legame sociale si trova al cospetto della sfida di riabilitare la propria – oramai delegittimata – indispensabilità nella formazione dell’identità di ognuno.

Assediata al proprio esterno dal pullulare di non luoghi artificiali e vittima al proprio interno di una desertificazione di significato e progettualità, la città si trova di fronte la sfida di ricandidarsi ancora a luogo imprescindibile di partecipazione e identificazione. Elena Granata, ricercatrice di Urbanistica al Politecnico di Milano, in un recente intervento alla Scuola di Politica del Centro San Rocco a Fermo, ha sottolineato una dinamica molto curiosa che si è diffusa a partire dal boom italiano del secondo dopoguerra: l’attenzione dei cittadini si è diretta sempre più verso il benessere degli interni. Un investimento da proteggere attraverso il ricorso sempre più accentuato a muri, recinzioni, cancelli, allarmi e protezioni varie. Una sorta di fuga introversa verso il “dentro” delle pareti che ha progressivamente annullato l’estroversione naturale dell’abitare, ridotto ad un costruire che sempre più erode il paesaggio, nella misura in cui non ha più nelle proprie intenzioni la cura di ciò che è attorno alle nostre abitazioni, ma solo di ciò che vi è dentro.

Quale l’altra faccia della medaglia, complementare e non contraddittoria? Che le città non sono più in grado di curare l’interiorità, ma divengono sempre più centri commerciali, più o meno “naturali”, di bisogni indotti e di un’esteriorità vacua e superflua. La cura per l’interno che surclassa quella per l’esterno è in questo caso la conferma di una vittoria dell’esteriore sull’interiore: la chiusura in un sé barricato e comodo, autonomo e indipendente, fa crescere identità che finiscono per essere tutte prone all’apparenza e quindi a relazioni inautentiche. Diventiamo sempre più abitanti degli interni in città che non sanno più aiutare l’interiorità e, non paradossalmente, hanno perso il senso del luogo pubblico. Scrive Daniel Innerarity: “ci sono sempre più edifici pubblici che assomigliano a un’altra qualunque costruzione ordinaria, all’architettura modesta dei nuovi luoghi pubblici: come se non si volesse o non si sapesse più esprimere l’idea della maestà della vita pubblica”.

Ecco la febbre di cui soffrono i nostri legami, che la città esprime in modo esplosivo: ciò che è pubblico non ha valore, perché non vi viene riconosciuto nulla di comune a qualcuno di più che me stesso e la mia famiglia, o al massimo ha quello di teatro dove si interpreta un ruolo, nella convinzione che la verità di noi stessi vada ben protetta nel privato, senza che sia condivisa e in virtù di ciò possa essere feconda persino urbanisticamente. Alla frantumazione dell’idea per cui non si può essere pienamente se stessi senza essere un noi e riconoscerne l’appartenenza e alla convinzione secondo la quale si può vivere nella scissione tra interiorità ed esteriorità, la città ha risposto iniziando ad essere un assemblaggio di funzioni e non più la narrazione della nostra identità, procedure di aumenti di volume e non più la configurazione di una convivenza, nell’inconsapevolezza colpevole e tragica che l’incuria delle relazioni causa dissesti antropologici che non fanno fatica a diventare persino idrogeologici.

 

Riferimenti

Aa.Vv., Dalla città accogliente alla città aperta, a cura di C.M. Martini, D. Tettamanzi, F. Riva, S. Xeres, Città Aperta, Troina 2005.

A. G. Calafati, Economie in cerca di città. La questione urbana in Italia, Donzelli Editore, Roma, 2009.

E. Granata, P. Pileri, Amor loci. Suolo, ambiente, cultura civile, Cortina,  Milano 2012.

P. Ricoeur, Leggere la città, Città Aperta, Troina 2008.

 

Profilo dell’autore

Luca Alici si è laureato in Filosofia nel 2003 e ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2007; attualmente è assegnista di ricerca presso la Cattedra di Filosofia Politica del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Perugia. Fa parte del comitato di direzione dell’annuario di studi filosofici “Anthropologica”, del comitato di redazione del sito della Società Italiana di Filosofia Politica (www.sifp.it) e di quello della rivista semestrale “Cosmopolis” (www.cosmopolisonline.it). L’ambito di studi, dopo aver affrontato la questione della comunità politica in Rousseau e la sfida del legame sociale in Ricoeur, si sta concentrando sul tema del fondamento del potere. In tale ottica il lavoro punta ad una riflessione filosofica sulla fiducia, sulla sua portata razionale e sulle implicazioni politiche che la riguardano: l’idea di un “ethos” della fiducia e della promessa, come luogo teoretico in cui la fiducia incontra una sua formalizzazione a cavallo tra etica e politica, antropologia e piano giuridico. Tra le sue pubblicazioni: Il paradosso del potere. Paul Ricoeur tra etica e politica, Vita e Pensiero, Milano 2007; A. Rigobello, Vita e ricerca. Il senso dell’impegno filosofico, libro intervista a cura di Luca Alici, La Scuola, Brescia 2010; Il diritto di punire. Testi di Paul Ricoeur, Morcelliana, Brescia 2012; Fidarsi. Alle origini del legame sociale, Meudon, Portogruaro 2012; “Se l’uomo fosse buono”. Metamorfosi del bene nel contrattualismo moderno, a cura di Luca Alici e Federica De Felice, ETS, Pisa 2012.

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