Blog EllePì – Domande sulla leadership

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Una responsabilità multidimensionale e più diffusa

di Gabriele Gabrielli

Ritornano prepotentemente in questa epoca domande che interrogano l’uomo sul valore e sul senso del lavoro. Ascoltiamo di frequente domande di questa natura. Cosa mi ispira nel lavoro che faccio? Mi soddisfa? Avrei voluto fare altro? Quello che faccio serve a qualcuno? Mi fa stare bene con gli altri o mi provoca disagio? Cambierebbe qualche cosa se avessi un capo diverso? Si potrebbe obiettare, in realtà, che oggi c’è una domanda diversa,  quella della ricerca di un lavoro. E’ vero ma con molta probabilità queste domande sarebbero soltanto posticipate. Riprenderebbero vigore non appena entrati nel perimetro di quanti hanno un lavoro, uno dei molti lavori che la frammentazione oggi propone. D’altro canto la rilevanza del lavoro è diventata nel tempo sempre più centrale. Anche troppo, verrebbe da dire.  Forse bisognerebbe – nel riservargli comunque un posto in prima fila – farlo accomodare con altri ospiti e valorizzare il resto della compagnia. Queste domande lasciano emergere un disagio che forse deriva proprio da questo posizionamento del lavoro. Mentre ci interroghiamo sul suo valore, però, possiamo anche dargli un senso.

Ma procediamo con ordine in questa riflessione sintetizzandola così: 1. Il lavoro ha assunto nel tempo un valore “fuori misura”; 2. la crisi contemporanea mette a nudo questa visione egemonica del lavoro, identificandone anche i limiti; 3. prima del lavoro c’è la vita di ciascuno e di tutti gli uomini; 4. anche i leader stanno prendendo consapevolezza di questo, con implicazioni nella gestione di imprese e organizzazioni.

Il lavoro fuori misura

Dall’umanesimo abbiamo imparato che l’uomo, con il suo impegno e sacrificio, può creare beni e servizi, arte e bellezza (homo faber). La qualità e utilità dei suoi manufatti rendono più accogliente il mondo e la natura. L’uomo ne è l’artefice. L’Illuminismo ha esasperato questa trama fino a immaginare l’uomo dominus, un padrone assoluto che ha il potere di ridurre l’intera realtà sotto il suo dominio. Gli straordinari risultati delle scoperte scientifiche e tecnologiche, dall’età dei Lumi sino a oggi, hanno alimentato talvolta questa deriva improntata alla volontà di potenza nietzchiana. Insomma, la scienza e la tecnica sopra tutto.

Fig. 1 – Il valore del lavoro nel tempo

Con l’organizzazione del lavoro moderna abbiamo compreso, poi, che questa stessa capacità produttiva dell’uomo poteva essere analizzata, scomposta, oggettivizzata e resa quindi strumento dell’economia e della produzione. Il management scientifico, infatti, sottopone a disciplina il lavoro, lo dirige e lo inquadra; lo riduce a strumento a servizio della dittatura dell’economia e dei suoi prodotti. Nelle pieghe di questa evoluzione il lavoro assomiglia così sempre più a una merce, non differentemente dal suo produttore (l’uomo) che rischia di appiattirsi a consumatore dei beni che realizza. E’ una insidiosa trasformazione che porta a pensare che senza lavoro non si può vivere, non tanto perché saremmo sprovvisti dei mezzi necessari per la sopravvivenza o perché non avremmo una risorsa fondamentale per esprimere noi stessi nella relazione con gli altri, piuttosto perché il lavoro diventa strumento di accesso alla nuova cittadinanza nella società dei consumi e mercificata. In questo senso il lavoro assume un valore assoluto, diventa ipertrofico, eccessivo, totalizzante (Totaro, 1999).

E la mia vita?

Ogni epoca, però, ha i suoi fermenti. Tra la caduta delle ideologie della fine del secolo scorso e la crisi di questa prima parte del nuovo millennio si fanno avanti nuove questioni.  Anche se il lavoro (e la sua carenza) occupa un posto rilevante nelle agende delle istituzioni, della politica, dei cittadini e delle famiglie, la sua funzione egemonica sta subendo molti colpi. Una nuova dialettica tra tempo di lavoro e tempo libero sta picconando, per esempio, le mura dell’equazione lavoro = identità. L’uomo ri-scopre che il lavoro è una dimensione importante della vita, ma che quest’ultima lo supera e va oltre, rivendicando il diritto a ricercare la sua realizzazione più piena. La persona si fa avanti così, nelle dimensioni inestricabili di razionalità, emozioni e corpo, sgomitando per farsi spazio sia nella società sia nei luoghi di lavoro. La parte più avveduta della cultura manageriale, in questa prospettiva, sta riscrivendo le relazioni persona-organizzazione all’insegna di una maggiore reciprocità. Pluralità, atteggiamenti e orientamenti, preferenze, talenti e punti di forza sono soltanto alcune parole di questo linguaggio che rende esplicita la rottura del monopolio del lavoro così come costruito nel tempo. Per competere in questa economia, del resto, alle imprese e alle organizzazioni occorrono persone motivate a lasciarsi ingaggiare in progetti sfidanti. Molti dei trade-off su cui si è costruito il vecchio equilibrio non reggono più; vanno ripensati in una prospettiva al plurale e con i colori della diversità. Si aggiungono così nuove domande: i contenuti del mio lavoro aiutano a realizzarmi? ll mio impegno si concilia con gli altri interessi che ho nel privato e nel sociale? Quando, per me, una persona è di successo? Sono disponibile per la carriera a rinunciare alle relazioni che ho? Che valore ha il mio lavoro per gli altri? E per quelli che verranno dopo?

Che responsabilità ho?

I cambiamenti in atto hanno implicazioni rilevanti così anche sulla leadership che, mentre si interroga sul perché del lavoro (Ulrich, Ulrich, 2012),  diventa sempre più multidimensionale ampliandosi nei contenuti.

Fig. 2 – Leadership multidimensionale

Alle dimensioni della leadership maggiormente esplorate, come quelle della team leadership o della guida di imprese e organizzazioni nella loro interezza, si aggiungono aree di impegno che ne accrescono valore e complessità.

I leader sono più consapevoli che per ispirare e guidare gli altri occorre innanzi tutto essere “leader dentro” e presenti a se stessi (Ghetti, Appolloni, Bergamo, 2009). La mindfulness  (Siegel, 2009) è la nuova frontiera di questa capacità che richiede di sapersi “disconnettere” dalle distrazioni e dagli automatismi cui un modello insano di sviluppo ci ha abituato. Come si può essere sintonizzati con gli altri se prima non lo siamo con noi stessi? Ci dobbiamo rispetto. Come potremmo essere leader efficaci e rispettosi degli altri senza esserlo prima nei nostri confronti? Ci sono però anche altre dimensioni che diventano rilevanti, come quella che interroga il leader sulle finalità dell’organizzazione per cui lavora domandandogli se recepiscono anche la pluralità delle istanze di sostenibilità che provengono dalla società, dalla economia, dai valori che lo ispirano. E’ una leadership multidimensionale che include nuove prospettive e anche per questo più decentrata e diffusa. Una leadership che chiama in causa molti, forse tutti, ciascuno di noi.

Fig. 3 – Senso e leadership

E’ tempo per riscrivere le premesse filosofiche, antropologiche ed economiche che sono state poste alla base del valore del lavoro. C’è da fare un po’ di ordine, cominciando con il mettere il lavoro a servizio della persona e della vita. E’ un esercizio complesso a cui non possono sottrarsi istituzioni e organizzazioni, imprese e manager.

 

Riferimenti

Totaro F., Non di solo lavoro, Vita e Pensiero, Milano, 1999

Ghetti M., Appolloni I., Bergamo F., Leader dentro, Luiss University Press, Roma, 2009

Singer D. J., Mindfulness e cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012

Ulrich D., Ulrich W., Il perchè del lavoro, FrancoAngeli, Milano, 2012

 

Profilo dell’autore

Gabriele Gabrielli è Presidente della Fondazione Lavoroperlapersona e docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane all’Università LUISS Guido Carli. E’ anche Direttore del programma Executive MBA della Luiss Business School. Formatore e coach, i suoi ambiti di attività riguardano la consulenza e ricerca nel campo dello sviluppo organizzativo, leadership e risorse umane. Tra i suoi volumi più recenti ci sono Post–it per ripensare il lavoro, Franco Angeli, Milano 2012; People management, Franco Angeli, Milano 2010.


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