Blog EllePì – Società della conoscenza?

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di Enzo Rullani

Viviamo nella società della conoscenza, se non altro perché tutto o quasi tutto, nel nostro mondo, dipende dal modo con cui le conoscenze vengono prodotte, usate, segregate o dimenticate. Ma, proprio perché la conoscenza è ovunque, come l’aria che respiriamo, è difficile dire che cosa davvero significhi un termine come “società della conoscenza”, e immaginare che cosa implichi per ciascuno di noi l’essere immersi in un ambiente del genere. Se non c’è società senza conoscenza, in che senso il secondo termine (conoscenza) aggiunge qualcosa al primo (società)?

 

In effetti, è una domanda lecita se si pensa a quanto spesso l’uso enfatico dei tanti rimandi alla conoscenza rimane ancora oggi un fatto ornamentale, privo di effetti pratici: sembra bello dire che la nostra economia è una “economia della conoscenza”, che i nostri lavoratori sono knowledge workers, che i nostri investimenti arricchiscono il “capitale umano” detenuto da persone e imprese, che i nostri assets sono sempre più immateriali e così via.

Suona bene, certo, ma che cosa comporta?

Per millenni, la storia dell’umanità si è organizzata intorno alla conoscenza e all’apprendimento che la alimenta. Ma questo non vuol dire che conoscenza e apprendimento abbiano avuto sempre la stessa forma e lo stesso ruolo. In questa storia, al contrario, ci sono tappe che segnano una profonda discontinuità col passato e che vanno riconosciute, per capire la specificità del nostro tempo.

Produrre conoscenza, seguendo uno dei tanti percorsi di apprendimento, è lungo e costoso. Dal punto di vista economico, è molto probabile che un percorso del genere sia in perdita (nel senso che i costi superano le utilità ottenute), in tutti i casi in cui la conoscenza ottenuta può essere applicata ad un numero limitato di usi. In primis, è ovvio, agli usi direttamente presidiati da chi ha realizzato l’apprendimento e di chi si trova ad operare nelle sue immediate vicinanze. Se non si organizza la propagazione delle nuove conoscenze, che maturano nel corso del tempo, rimangono pochi coloro che possono trarne beneficio, copiando, imitando o acquistando una soluzione utile, messa a punto da altri.

Ecco la ragione per cui lo sviluppo delle conoscenze, in epoca pre-moderna, è andato avanti più per ragioni ideali (filosofiche, artistiche, religiose, magiche ecc.) che per ragioni pratiche, in genere confinate a scopi militari, edilizi o medici. La limitata ampiezza del bacino di uso di una nuova conoscenza non ripagava, nella maggior parte dei casi, l’investimento necessario per produrla. Dunque era più conveniente usare le conoscenze già disponibili (a costo zero), facendo gli adattamenti necessari, ma senza mettere in programma innovazioni impegnative.

Le cose cambiano, radicalmente, con l’avvento della modernità, e dunque di una economia basata sull’uso della scienza e delle macchine, ossia di conoscenze costruite in modo da essere trasferibili e replicabili a basso costo.

Anche in epoca moderna, la conoscenza “generativa” – capace di generare nuove conoscenze e di modellarne in modo intelligente l’uso – rimane legata alle persone e ai contesti di apprendimento in cui ha preso forma. Ma essa, grazie a tutta una serie di sperimentazioni e innovazioni, viene tradotta in conoscenza replicabile (astratta). Ossia in codici e dispositivi tecnologici che la incorporano in prodotti materiali, in strumenti tecnici, in algoritmi o sistemi di istruzioni, rendendo possibile il suo uso in altri luoghi e contesti, e con altre persone, diverse da quelle che l’hanno prodotta.

Grazie a queste caratteristiche costitutive, la conoscenza replicabile ha costi di riproduzione e trasferimento nulli, o comunque limitati. Ad ogni nuovo uso, essa genera un valore addizionale (per l’user) senza che i costi richiesti da tale propagazione crescano in misura corrispondente. Più sono i ri-usi, e più cresce il valore prodotto: un motore di crescita straordinario, che ha sorretto lo sviluppo economico della modernità, per più di due secoli.

 

Profilo dell’autore

Enzo Rullani è docente di Economia della Conoscenza presso la Venice International University di Venezia. E’ Presidente del centro Tedis della stessa Università in cui svolge attività di insegnamento e di ricerca sull’economia della conoscenza, sull’evoluzione dei distretti, sulle nuove tecnologie nei settori emergenti. È membro del Comitato Direttivo di “Economia e Politica Industriale” e del Comitato Scientifico di “Stato e Mercato”. Ha insegnato presso l’Università di Verona e di Udine. È autore di numerose pubblicazioni tra cui “Modernità sostenibile. Idee, filiere e servizi per uscire dalla crisi” (Marsilio Editore, 2010), “Il capitalismo personale” (Carocci, con A. Bonomi, 2005), “Intelligenza terziaria motore dell’economia” (Franco Angeli, con P. Barbieri, M. Paiola e R. Sebastiani, 2005), “Economia della conoscenza: creatività e valore nel capitalismo delle reti” (Carocci, 2004), “La fabbrica dell’immateriale: produrre valore con la conoscenza” (Carocci, 2004), e “Il postfordismo. Idee per il capitalismo prossimo venturo” (Etas Libri, con L. Romano, 1998).

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