Blog EllePì – Lo sguardo cosmopolita e il dialogo interculturale

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di Fabrizio Maimone

20.000…è il numero di ordigni nucleari ancora disponibili negli armamenti di USA, Russia, Cina, India, Pakistan, Nord-Corea e Israele (dati Brookings Institution) . Le statistiche, ovviamente, si riferiscono solo ai paesi che (più o meno ufficialmente) posseggono armamenti nucleari. E escludono le testate che potrebbero essere nascoste negli arsenali di governi che, formalmente, negano di possedere armi atomiche. In ogni caso, nel mondo è ancora funzionante un numero di testate nucleari sufficiente ad avverare la famosa profezia di Albert Einstein: “Non so con quali armi verrà combattuta la Terza guerra mondiale, ma la Quarta verrà combattuta con clave e pietre”.

Prevenire e gestire i conflitti, nelle e tra le nazioni, combattere le minacce terroristiche, anche prosciugando l’acqua in cui cresce il consenso per le organizzazioni del terrore, favorire l’integrazione dei migranti significa contrastare il rischio che si scatenino guerre dagli esiti potenzialmente disastrosi.
Il dialogo interculturale è fondamentale per perseguire questo scopo. E, inoltre, costituisce un tassello fondamentale per comprendere e gestire la complessità e far fronte ai problemi globali: la sovrappopolazione, la lotta alla fame e alle malattie pandemiche, come l’HIV, il surriscaldamento del clima, ecc. (si veda Rapporto Mondiale Unesco 2009).

Il dialogo interculturale è, quindi, necessario. Ed è fondamentale favorire lo sviluppo della “cultura dell’intercultura” che, secondo la De Cristofaro (2007, p. 27 – 28), è – “quel complesso di valori, orientamenti, atteggiamenti e comportamenti ai quali ispirare scelte individuali e collettive di soggetti appartenenti a culture diverse che convivono in una stessa comunità”. -. Contrariamente a quanto sostenuto da certi apologeti del locale, la cultura dell’intercultura (Ib.) non è affatto incompatibile con lo sviluppo delle identità culturali locali, per due ottimi motivi:

a)     Come scrive Mantovani (2004, p. 19), “Le culture sono sistemi porosi, spazi di scambio, sistemi di risorse disponibili agli attori sociali per la loro relazione con l’ambiente”. Quindi, l’idea della cultura come realtà pura e incontaminata è lontana dall’essere “realistica” ma costituisce essa stessa un “oggetto culturale”, se non una vera e propria ideologia.

b)     L’identità non è una monade. Come scrive la Di Cristofaro (2007, p. 24) –“L’identità, come la cultura, è di per se stessa processuale e dinamica”. L’identità si costruisce attraverso la relazione con gli altri, il proprio ambiente sociale, e nel dialogo e nel confronto può arricchirsi e rafforzarsi.

Il dialogo interculturale, quindi, può favorire la preservazione delle identità culturali in un mondo sempre più globalizzato (Ib.), limitando le conseguenze di quel conflitto tra processi di globalizzazione e identità locali che è stato preconizzato, tra gli altri, da Roland Robertson (1999), autore della fortunato concetto di “glocalizzazione”.

Il dialogo interculturale presume la capacità di uscire dalla ristretta e monodimensionale visione etnocentrica, per assumere una prospettiva multiculturale (si veda Malizia 2007). Beck (2003) sostiene che per “questo mondo che diventa cosmopolita abbiamo bisogno di un nuovo punto di vista – lo sguardo cosmopolita – per cogliere e comprendere in quali realtà sociali viviamo e agiamo.” (Ib. P. 8). Lo sguardo cosmopolita presuppone la capacità di riconoscere e comprendere la diversità (Ib.).

Il dialogo interculturale implica l’incontro con l’altro da sé. L’incontro con l’altro non può essere confinato alla dimensione cognitiva: il conoscere colui che è diverso da noi implica l’entrare in relazione, il co-esperire, che presume una “empatia creatrice” (Ferrarotti 2011). Come scrive Jeremy Rifkin (2010, p. 41): -“Il costante feedback empatico è il collante sociale che rende possibili società sempre più complesse. (…) Dunque, strutture sociali più complesse promuovo il rafforzamento dell’idea del sé, una maggiore esposizione alla diversità dell’altro e una possibilità di empatia estesa”-. Quindi, secondo l’autore (Ib.) si viene a configurare una relazione circolare positiva tra complessità sociale, confronto con la diversità e sviluppo dell’empatia sociale. Chi scrive, diversamente dal sociologo americano, ritiene, però, che questa relazione circolare positiva: aumento della complessità sociale > esperienza dell’altro da sé > crescita dell’empatia > migliore gestione della complessità sociale…non sia automatica, ma necessità una crescita della consapevolezza e lo sviluppo del dialogo interculturale, che è allo stesso tempo un valore e una competenza sociale che può e deve essere sviluppata (si veda ilLibro bianco sul dialogo interculturale del Consiglio di Europa).

Noi conosciamo l’altro da noi mettendoci nei suoi panni, intuendo la sua sofferenza, immedesimandoci nella sua condizione esistenziale. Il riconoscimento della umanità dell’altro, del suo essere persona, al di là delle differenze, è un presupposto essenziale per il dialogo (si veda Ting-Toomey 1999).

Il dialogo interculturale è fatto anche di carne e di sudore, è un processo, per così dire, incarnato nella esperienza umana. Per questo, dobbiamo sfuggire a quel processo di de-umanizzazione del diverso che è tipico del razzismo e che il razzismo ideologico trasforma poi in ideologia (si veda Cotesta 2009). Se considero il diverso non – umano allora anche gli atteggiamenti e i comportamenti più disumani potranno trovare una sorta di giustificazione.

Il dialogo interculturale deve confrontarsi con una serie di dinamiche che non sono esclusivamente culturali. L’incontro con il diverso è spesso l’incontro con la diseguaglianza: relazioni di potere, status, condizione sociale, differenze di capitale culturale, ecc. influiscono nel processo di relazione inter-culturale. Il dialogo interculturale non può diventare un alibi per ignorare il problema delle diseguaglianze sociali, dentro e fuori i nostri confini nazionali. Dialogo si, ma tra persone che devono avere pari dignità in quanto essere umani, a prescindere dal colore della pelle, della lingua e degli usi e costumi. Il confine tra riconoscimento della diversità  e mantenimento/rinforzo delle diseguaglianze sociali può diventare  una linea molto sottile.

Riferimenti bibliografici

Beck U. (2003), La società cosmopolita. Prospettive dell’epoca postnazionale, Il Mulino, Bologna;

Cotesta V. (2009), Sociologia dei conflitti etnici. Razzismo, immigrazione e società multiculturale., Laterza, Bari;

Di Cristofaro Longo G. (2007), “Cultura, culture, dialogo interculturale” in Spagnuolo G. (a cura di), Il magico mosaico dell’intercultura. Teorie, mondi, esperienze, Angeli, Milano;

Ferrarotti F. (2011), L’empatia creatrice. Potere, autorità e formazione umana, Armando, Roma;

Malizia P. (2007), Da Mono a multi. Dieci temi sulla società multiculturale, Angeli, Milano;

Mantovani G. (2004), Interculturalità. E’ possibile evitare le guerre culturali?, Il Mulino, Bologna; Rifkin J. (2010), La civiltà dell’empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi, Mondadori, Milano;

Robertson R. (1999), Globalizzazione. Teoria sociale e cultura globale, Asterios, Trieste;

Ting-Toomey S. (1999),Intercultural Communication. An Identity Perspective, Guilford Publications, New York;

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