Blog EllePì – L’età e i suoi stereotipi

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di Silvia Profili

Qualche giorno fa ho festeggiato il mio compleanno. E inevitabilmente (come accade oramai da qualche tempo) mi sono ritrovata senza volerlo a farmi alcune domande. Anche perché di età si sta parlando molto in questi giorni, con la riforma pensionistica che ha ringiovanito tanti uomini e donne che pensavano fino a qualche giorno prima di essere alla fine della loro carriera lavorativa e si sono ritrovati invece a dover cambiare programma. Se ne parla soprattutto con riferimento agli ‘anziani’, perché rappresentano la categoria più rappresentativa nel nostro Paese e nelle nostre aziende; ma anche ai giovani, per evidenziare il tradimento dei sogni di una generazione che paga troppo cari gli errori di chi è venuto prima.

Anche nelle organizzazioni si comincia a sentir parlare di generazioni, facendo riferimento a gruppi di persone che, in quanto nate nello stesso arco temporale, hanno vissuto esperienze di vita e sono cresciute in contesti sociali e culturali simili, sviluppando così determinate caratteristiche distintive. Sicuramente l’età è una delle caratteristiche che differenzia di più le persone nei contesti sociali. Quando un collega ci comunica che in azienda è arrivato un nuovo capo, una delle prime cose che gli domandiamo è certamente “quanti anni ha” perché questo ci aiuta subito ad inquadrarlo. Il rischio che corriamo è quello di fare ricorso a qualche stereotipo che ci porti a costruire un’immagine della persona prima di averla realmente conosciuta, costruzione che condizionerà i nostri comportamenti. E’ ampiamente dimostrato infatti che nei luoghi di lavoro vi siano numerosi stereotipi legati all’età che portano a comportamenti discriminatori. Diversamente da quelli sul genere o sull’etnia sono più sottili, meno evidenti, e in un certo senso quindi ancora più difficili da sradicare. Proviamo a definirli. Secondo Hamilton e Sherman (1994) gli age stereotypes sono credenze o aspettative sui lavoratori che si basano sulla loro età.  Gli stereotipi sono diversi dai pregiudizi, che hanno a che fare con le attitudini, e diversi dalla discriminazione, che si concretizza in comportamenti veri e propri.  Ma i pregiudizi sono alla base dei comportamenti discriminatori. Ad esempio un manager potrebbe avere, inconsciamente, degli stereotipi negativi rispetto ai lavoratori che hanno superato una certa età e questo potrebbe influire su quello che pensa dei suoi collaboratori e portare a comportamenti discriminatori nelle scelte di compensation o di promozione. La ricerca ha dimostrato l’esistenza di numerosi stereotipi nei luoghi di lavoro (Posthuma e Campion, 2009) molti dei quali hanno a che fare con i lavoratori più anziani. Si è portati a ritenere, ad esempio, che le abilità, la motivazione e la produttività degli older workers decrescano con il tempo e quindi anche la loro performance, nonostante molti studi abbiano dimostrato che le differenze individuali (in termini di salute o di skill) contano più dell’età per spiegare la performance. Un altro stereotipo molto diffuso è quello per cui i lavoratori più avanti con gli anni sarebbero meno flessibili e adattabili, meno propensi all’apprendimento e di conseguenza più resistenti al cambiamento. Così come si ritiene che la permanenza media dei lavoratori anziani in azienda sia più bassa e di conseguenza il ritorno sugli investimenti in formazione per queste risorse sia limitato. Queste credenze influiscono su molte delle scelte fatte dal management: ci sono evidenze, ad esempio, che sulla valutazione della prestazione e sulle decisioni di promozione l’età abbia un rilevante impatto (Finkelstein e al., 1995; The Economist, 2006). Si potrebbe pensare che gli older workers tendano ad essere più imparziali nei confronti dei propri ‘old collegues’; e invece la gran parte delle ricerche dimostra che essi hanno gli stessi stereotipi dei loro colleghi più giovani, e che li applicano nelle loro scelte quotidiane. Ma allora dobbiamo rassegnarci a convivere con comportamenti discriminatori all’interno delle organizzazioni? Per fortuna non è così, perché sono tanti i fattori che possono ridurre la formazione di stereotipi negativi legati all’età, e i comportamenti tutt’alto che inclusivi che ne discendono. Anzitutto dobbiamo essere consapevoli che siamo tutti affetti da questa pericolosa malattia: classificare persone e cose ed essere influenzati da idee preconcette. E quindi dobbiamo stare all’erta, farci domande, guardare bene chi abbiamo di fronte. Acquisire informazioni precise sulle persone e sul loro lavoro, ad esempio, riduce il rischio che dei banali cliché possano influenzare le nostre scelte. L’organizzazione poi deve aumentare la consapevolezza su questo problema a tutti i livelli, attraverso la comunicazione, la formazione e la diffusione di politiche anti-discriminatorie.

La strada da fare è tanta. Cominciamo con il parlarne.

 

Riferimenti

Posthuma R.A., Campion M.A. (2009). Age stereotypes in the workplace: common stereotypes, moderators and future research directions. Journal of Management, vol.35 (1): 158-188.

Hamilton D.L., Sherman J.W. (1994). Streotypes, in R.S. Wyer Jr and T.K. Srull (Eds). Handbook of social cognition, Lawrence Erlbaum.

Finkelstein L.M., Burke M.j., Raju N.S. (1995). Age discrimination in simulated employment contexts: an integrative analysis. Journal of Applied Psychology, vol.80 (6): 652-663.

The Economist. (1996). Older workers: how to manage an older workforce, Feb, 16:11.

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