Blog EllePì – Il 2018 sarà l’anno dei Sustainable Development Goals?

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Si narra che un re chiese un giorno a Confucio quale sarebbe stato il suo primo atto di governo, se il sovrano gli avesse affidato la gestione dei propri territori. Confucio rispose senza esitazione: il suo primo atto sarebbe stato “rettificare i nomi”. E proseguì spiegando: “se i nomi non corrispondono alla realtà delle cose, il linguaggio non riflette l’oggetto. Se il linguaggio non riflette l’oggetto, l’azione diventa impossibile e quindi gli affari umani si disgregano, e non possono in alcun modo essere gestiti”[1].

Se Confucio vivesse oggi, tra le tante parole che dovrebbe rettificare un posto importante lo riserverebbe sicuramente al termine sostenibilità, termine tanto abusato che allude alla possibilità di mantenere il sistema economico in equilibrio con l’ambiente naturale e superare gli squilibri sociali.  L’utilizzo smodato del termine “sostenibilità” si affianca infatti a modelli di produzione e consumo che continuano ad essere, purtroppo, profondamente “insostenibili”.

Perché non riusciamo ad affrontare seriamente il problema della sostenibilità, visto che ne dipende il nostro futuro e quello dei nostri figli? Uno dei motivi è sicuramente che l’economia dominante, quella che si insegna nella grande maggioranza di università e business school, continua ad essere basata su assunti che risalgono al diciannovesimo secolo. Ad esempio, quello di considerare le risorse naturali come infinite, o infinitamente sostituibili. Eppure, come gli amici della Fondazione sanno bene, sono sempre più numerosi gli economisti che cercano di andare “controcorrente”, in Italia e all’estero. E per fortuna alcuni di loro hanno anche affinato di molto la capacità comunicativa[2]. Hanno infatti compreso che, nonostante le sue molte dimensioni, il problema della sostenibilità è prima di tutto, ancora oggi, un problema culturale.

Inoltre, per restare su temi cari alla Fondazione, molti tra i grandi problemi ambientali e sociali, dal climate change al degrado dei mari, alla perdita di biodiversità, alle migrazioni di massa sono globali, interconnessi e multidisciplinari, e presuppongono quindi la necessità di dialogare attraverso i confini. Non solo confini tra Nazioni (altra eredità scomoda del diciannovesimo secolo..), ma anche tra settore pubblico e settore privato, tra comunità scientifica e società civile, tra i diversi linguaggi e filoni “specialistici” del nostro sistema didattico.

Approccio al cambiamento culturale, coordinamento sovranazionale e interdisciplinarietà sono dunque tre requisiti necessari ad affrontare seriamente il problema della sostenibilità. Bene, su tutte e tre queste sfide possiamo iniziare l’anno celebrando una buona notizia. Ed è il successo, anche “mediatico”, ottenuto negli ultimi due anni dai Sustainable Development Goals (SDGs), i 17 obiettivi globali che fanno parte dell’”Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile[3].

Approvata dall’assemblea dell’ONU a settembre 2015, l’Agenda 2030 è il naturale seguito degli “obiettivi del millennio” (MDGs), cui si deve la dimostrazione dell’efficacia di un approccio globale, basato su obiettivi specifici, in grado di causare un effetto a catena. L’Agenda è basata su ben 169 target, corredati da oltre 240 indicatori, ma non è solo un’agenda di intervento governativo. E’ anche e soprattutto un’agenda di collaborazione tra soggetti di natura diversa; aziende, amministrazioni locali, organizzazioni no profit. Soggetti che sempre più stanno dando vita a collaborazioni inedite e partnership innovative, nel segno dell’opportunità anche economica legata all’attuazione degli SDGs. Un’opportunità calcolata in ben 12.000Mld di dollari l’anno e 380 milioni di nuovi posti di lavoro [4].

In questi poco più di due anni, in tutto il mondo, i Sustainable Development Goals sono stati al centro di una miriade di iniziative, eventi, report dedicati. Al punto che nel settore sono diventati una sorta di “lingua franca”, un linguaggio comune che si diffonde dalle istituzioni alle imprese. E anche nel nostro Paese le cose hanno iniziato a muoversi.

L’Italia infatti, solo nell’ultimo anno, ha visto nell’ordine l’approvazione per la prima volta di una Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile, la cui governance è assegnata direttamente alla Presidenza del Consiglio. Il lancio da parte del MIUR, grazie alla ministra Fedeli, del primo Piano Nazionale di Educazione allo Sviluppo Sostenibile. Lo svolgimento, a cura di Asvis, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile – organizzazione creata nel segno dell’attuazione dell’Agenda 2030 che riunisce oltre 170 membri tra istituzioni e organizzazioni della società civile – del primo Festival italiano dello Sviluppo Sostenibile, una rete di oltre 220 eventi sparsi su tutto il territorio nazionale. Senza contare che nel 2017 anche l’Italia ha finalmente introdotto la normativa sulla rendicontazione non finanziaria, quella relativa agli impatti sociali ed ambientali, pur se limitandola per ora alle sole imprese con oltre 500 dipendenti.

Certo si tratta di cambiare moltissimo, e c’è ancora moltissimo da fare. Un recente rapporto di fondazione Bertelsmann, l’SDG Index and Dashboards Report 2017[5], fornisce una pagella sulle prestazioni di ogni Paese sul raggiungimento degli SDGs. Dallo studio emerge che ogni Paese ha difficoltà nel raggiungere la maggior parte dei goal, e che l’Italia, ad esempio, non è in linea con gli obiettivi per nessuno dei 17 Goal, pur se su 9 di essi nell’ultimo anno sono stati fatti progressi sostanziali[6].

L’agenda 2030 è quindi anche, e in primo luogo, un’agenda di cambiamento e innovazione. Per attuarla è infatti necessario portare avanti una vera e propria rivoluzione. Che si incrocia e sovrappone con l’altra grande rivoluzione in corso, quella digitale. Un report di Accenture dell’anno scorso ha calcolato che il digitale può contribuire a raggiungere tutti e 17 gli SDGs, e oltre la metà dei 169 target, con un’opportunità di creare valore per il solo settore ICT di oltre 2000 MlD di $ l’anno[7]. Le soluzioni digitali infatti, con le opportunità offerte dall’Internet delle Cose (IoT) e dalle cosiddette “Smart Technologies”, sono uno degli strumenti più rapidi che abbiamo per migliorare l’efficienza, decentralizzare la produzione, passare da un’economia lineare ad una circolare.

Tutte “rivoluzioni” che si stanno affacciando, e che forse sono le uniche in grado di trasformare il mondo alla velocità richiesta dagli SDGs. Nel nuovo anno auguriamoci quindi che possano procedere speditamente, in modo da dimostrare sempre più chiaramente che quella della sostenibilità è una rivoluzione non solo necessaria, ma anche possibile.

 

Profilo dell’autore

Davide Nespolo dopo un’esperienza di quasi vent’anni in aziende e società di consulenza in Italia e all’estero nel campo delle risorse umane, dal 2013 si occupa di sostenibilità. Ha studiato all’Università di Genova e alla London School of Economics. Vive a Roma con la compagna e tre figli.

 

 

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[1] Citato da John Ehrenfeld, ex direttore del programma Technology Business and Environment dell’MIT. Annual Conference EPSRC Centre for Innovative Manufacturing & Industrial Sustainability, settembre 2013. Il video è disponibile a https://www.youtube.com/watch?v=bHK7sAUOehM

[2] Tra essi sicuramente Kate Raworth, ideatrice dell’”economia della ciambella”; si veda il suo intervento alla conferenza 2017 del Club di Roma: https://www.youtube.com/watch?v=mIHeZ61d9YA

[3] http://www.un.org/sustainabledevelopment/sustainable-development-goals/

[4] Business and Sustainable Development Commission, “Better Business, Better World”, http://businesscommission.org/

[5] Sustainable Development Solutions Network (SDSN), fondazione Bertelsmann Stiftung, SDG INDEX & DASHBOARDS REPORT 2017; http://www.sdgindex.org/

[6] Fonte: rapporto Asvis 2017; www.asvis.it

[7] #Systemtransformation, How digital solutions will drive progress towards the UN Sustainable Development Goals for the information and communication technology (ICT) sector; https://www.accenture.com/us-en/insight-global-esustainability-initiative-joint-report

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