Blog EllePì – Intercultura e beni comuni per il futuro della società

Tempo di lettura 4 minuti

di Valentina Grassi

grassi-bnDue tra i maggiori fattori di mutamento sociale nella contemporaneità sono profondamente interconnessi e chiamano gli osservatori e gli studiosi del sociale a una riflessione attenta sulle prospettive che si possono aprire: si tratta delle migrazioni, e quindi della questione dell’intercultura, e del declino del paradigma individualista come fondamento dei legami sociali, verso la valorizzazione di ciò che è comune. Quella sull’esclusività delle culture e sulla centralità della cultura occidentale come parametro di riferimento di tutte le altre è stata, si può affermare, una vera e propria fede. E come tutte le fedi è legata a un’adesione emozionale che agisce al livello dell’immaginario sociale: ebbene, la società occidentale oggi, tanto a livello strutturale quanto a livello dell’immaginario, sta mutando profondamente forma e l’ibridazione culturale è ormai un processo che coinvolge tutti gli ambiti della vita sociale.

Il fenomeno delle migrazioni internazionali è un processo in continua espansione: l’Italia, per fare un esempio, si avvia verso il 10% della popolazione costituita da migranti. Sempre in Italia, le seconde generazioni sono ormai una realtà sociale consolidata: si veda il significativo esempio della Rete G2 (http://www.secondegenerazioni.it/). I giovani di domani, nel nostro paese, saranno sempre più portatori di molteplici riferimenti culturali, di un insieme di norme, valori e pratiche di comportamento propri di mondi tra loro distanti, anche se oggi neanche troppo. È quindi sempre più importante riflettere sulla questione della comunicazione interculturale: le etnie, che sono il prodotto di diverse storie culturali, possono comunicare fra loro in quanto espressioni umane. Oggi il mondo si caratterizza per una presenza sincronica (Ferrarotti 2003) di più culture nello stesso territorio: in tale contesto, la nozione stessa di cultura deve essere profondamente ripensata. Da un punto di vista antropologico, la cultura può essere considerata come l’insieme di norme, valori e pratiche di comportamento condivise da un gruppo sociale più o meno ampio. Ebbene, oggi, in un mondo globalizzato, la stessa capacità di “persistenza” delle culture appare legata alla loro capacità di assorbire e cooptare, nel loro sistema di significati, elementi appartenenti ad altre culture che sono compatibili (Ibid.). Dalle pratiche alimentari ai modi di vestire, dalle tradizioni religiose alla musica, fino alle configurazioni valori e alle forme delle relazioni sociali: tutti esempi di spazi di ibridazione culturale possibile, che disegnano un “mondo possibile” per quegli orizzonti culturali che sapranno raccogliere la sfida del futuro.

E proprio come la nozione di cultura, anche quella di identità individuale, e quindi di individuo, va oggi profondamente ripensata. L’individuo autonomo, libero nella scelta, che persegue i suoi fini attraverso l’analisi razionale di costi e benefici, diciamolo pure, non esiste nella realtà sociale. Quindi pensare all’individuo in questi termini è un errore di comprensione e di analisi della società. Il paradigma dell’individualismo come strumento di tale comprensione e analisi è del tutto fuorviante: dal momento però che i paradigmi non si esauriscono con un colpo d’ali, è necessario oggi porre attenzione ai segnali del mutamento in corso proprio mentre questo è in divenire. La cultura economica, politica e sociale dell’Occidente moderno si è fondata sulla dicotomia fondamentale tra pubblico e privato. Un’altra delle dicotomie che hanno caratterizzato una cultura prevalentemente razionalistica e schizoide, una cultura che ha appunto la tendenza a dividere. Quando un bene è “pubblico” si suppone appartenga in qualche modo allo Stato, mentre quando un bene è “privato” si suppone appartenga a individui o entità non statali. Bisogna aggiungere che la tendenza prevalente delle società capitalistiche, anche di quelle neo-capitalistiche, è quella alla privatizzazione, cioè a trasferire tutto quanto è pubblico sempre più nelle mani dei privati.

Sia il privato che il pubblico stanno però oggi mostrando importanti segnali di crisi: si pensi, da un lato, a come il processo di privatizzazione si associ alla progressiva concentrazione della ricchezza, al punto che oggi il patrimonio delle 350 persone più ricche del mondo è pari al reddito complessivo dei 2,3 miliardi di persone più povere, che sono anche poco meno della metà della popolazione mondiale. Si pensi anche, dall’altro lato, che lo Stato, a fronte della crisi mondiale esplosa nel 2007-2008, se è invocato a gran voce per salvare finanza e banche, è quasi completamente dimenticato quando bisogna rilanciare l’occupazione, sostenere i lavoratori e costruire un nuovo modello si sviluppo. È florido ormai da alcuni anni, nelle scienze economiche, giuridiche e sociali, il dibattito su una nuova forma di relazione con i beni, che da più parti è definita “comune”. I beni comuni si oppongono, secondo la nota economista E. Ostrom, alle categorie di “esclusività” e “rivalità”: essi non sono proprietà esclusiva di qualcuno e inoltre, quando qualcuno li utilizza, non esclude altri dallo stesso utilizzo, non c’è quindi rivalità nel rapporto con il bene. Le analisi dell’economista sono state riprese da molti; anche nel campo del diritto ci sono state riflessioni di grande rilievo su tale questione: in Italia, si pensi ai lavori di S. Rodotà. E proprio nel contesto italiano, il dibattito sui beni comuni è interessante in modo particolare perché si collega ad alcuni importanti valori espressi nella nostra Costituzione, quali il diritto di cittadinanza, la partecipazione e la sussidiarietà. Prendersi cura dei beni comuni, dalle espressioni culturali in Rete al monumento abbandonato nel quartiere urbano, significa quindi dare attuazione a principi importanti che caratterizzano nel profondo un contesto culturale e una società, quale quella italiana, che ha bisogno di ri-configurare il suo futuro.

Le esperienze e le “buone pratiche” non mancano: già da alcuni anni, Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà, www.labsus.org) sta conducendo un lavoro di raccolta e analisi di tali casi in tutta la penisola italiana, per dar conto di ciò che sta accadendo e dare la possibilità di riflettere. Ebbene, si tratta di interessantissime forme di collaborazione tra pubblico (istituzioni) e privati (cittadini e imprese) per valorizzare appunto ciò che è considerato comune.

 

Per approfondire

Arena G., Iaione C. (a cura di) (2012), L’Italia dei beni comuni, Carocci, Roma

Balbo L. (2006), In che razza di società vivremo. L’Europa, i razzismi, il futuro, Mondadori, Milano

Carlini R. (2011), L’economia del noi. L’Italia che condivide, Laterza, Roma-Bari

Cassano F. (2004), Homo civicus. La ragionevole follia dei beni comuni, Dedalo, Bari

Donolo C. (2007), Sostenere lo sviluppo. Ragioni e speranze oltre la crescita, B. Mondadori, Milano

Ferrarotti F. (2003), La convivenza delle culture. Un’alternativa alla logica degli opposti fondamentalismi, Dedalo, Bari

Galdo A. (2012), L’egoismo è finito. La nuova civiltà dello stare insieme, Einaudi, Torino

Ostrom E. (2006), Governare i beni collettivi. Istituzioni pubbliche e iniziative della comunità, Marsilio, Venezia

Pennacchi L. (2012), Filosofia dei beni comuni. Crisi e primato della sfera pubblica, Donzelli, Roma

Rodotà S. (2012), Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari

Sennet R. (2012), Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, Milano

 

Profilo dell’autore

Valentina Grassi è Ricercatrice in Sociologia presso l’Università di Napoli “Parthenope”, dove insegna Sociologia generale e Sociologia dei processi economici e del lavoro. Ha conseguito il Dottorato in Sociologia presso l’Università La Sorbonne-Paris 5 e, in virtù di un accordo di cotutela, ha conseguito il Dottorato in Teoria e ricerca sociale presso l’Università La Sapienza di Roma. Si occupa di immaginario, di metodologie qualitative nelle scienze sociali, di intercultura e, recentemente, di beni comuni e partecipazione. Tra le sue pubblicazioni: V. Grassi, Introduzione alla sociologia dell’immaginario, Guerini, Milano 2006; F. Colella, V. Grassi (a cura di), Comunicazione interculturale. Immagine e comunicazione in una società multiculturale, Franco Angeli, Milano 2007; V. Grassi, Mitodologie. Analisi qualitativa e sociologia dell’immaginario, Liguori, Napoli 2012.

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