Blog EllePì – L’immaginazione ha ancora spazio nella gabbia della iper-realtà?

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La nostra generazione sarà sicuramente ricordata per essere stata la prima a essere chiamata direttamente a governare, a livello planetario, le enormi accelerazioni tecnologiche determinate della ricerca e della scienza. La pervasività, l’efficienza e l’efficacia della tecnica 4.0, infatti, mostra oggi una applicabilità infinta e che richiede un surplus di pensiero e di riflessione. Un tema che la Fondazione ha cercato di esplorare all’avvio di questo 2018, chiedendosi come Far rifiorire l’umano nell’economia e nel lavoro, e che riprenderà a Settembre all’interno del VI Seminario Interdisciplinare sull’Accoglienza.

Se ci soffermiamo, poi, all’impatto di internet e delle ICT, ormai si nota, da più parti, che queste innovazioni hanno prodotto un vero e proprio oltrepassamento di soglia non solo sociale e culturale ma, addirittura, antropologico. La velocità con cui dati e informazioni ci investono in ogni momento, infatti, sono un elemento nuovo nello sviluppo dell’essere umano: se da una parte, dunque, l’accesso alle informazioni diventa sempre più immediato e semplice, è anche vero che proprio a causa di questa velocità ciò che ci investe rimane spesso indistinto e confuso. Sembra di vivere in una bolla, usando l’efficace metafora di Eli Pariser, in una sorta di camera dell’eco in cui tutto si fa chiacchiera indistinta e la realtà dei fatti scompare, per lasciar posto solo a ciò che già conferma le nostre credenze. Il fenomeno delle fake-news e della post-verità è l’effetto più immediato di questa nuova condizione con cui, solo ora, stiamo iniziando davvero a fare i conti. La realtà, dunque, sembra essere quasi scomparsa, sostituita dal vertiginoso scorrere dei nostri feed che ci rimandano solo ciò che vogliamo sentire o leggere, e non più ciò che è.

Una lettura diversa di questa nuova condizione, però, ce la offre il testo di Jean Baudrillard Il delitto perfetto che, pur uscito nel 1995, risulta tremendamente attuale. A pagina 69 si legge:

Viviamo nell’illusione che sia il reale a mancare maggiormente, mentre invece la realtà è al suo culmine. A furia di performance tecniche siamo arrivati a un tale grado di realtà e di oggettività da poter addirittura parlare di un eccesso di realtà che ci lascia molto più ansiosi o sconcertati della mancanza di realtà, la quale poteva per lo meno essere compensata con l’utopia e con l’immaginario.

Se è pur vero che Baudrillard in questo testo compiva una analisi della televisione, la riflessione sembra proporci una chiave di lettura anche per interpretare la contemporaneità e soprattutto ad internet. Siamo abituati a pensare – forse a torto – che la massa di informazioni e dati con cui veniamo bombardati in ogni momento, anche contro la nostra volontà (le notifiche push dei vari Andorid e iOS), faccia scomparire la realtà mentre, seguendo le parole del filosofo francese, potrebbe darsi l’effetto opposto. Siamo come immersi in una iper-realtà, in cui tempo e spazio sono contratti, in cui è tutto, potenzialmente, è alla mano: informazioni, acquisti, amici e case in affitto. Tutto è palese, tutto è scoperto: non si dà qualcosa che non possa venire svelato.

La realtà non sarebbe, dunque, scomparsa; anzi. Internet e le ICT ci mettono nelle condizioni di poter raggiungere qualsiasi posto, qualsiasi verità; basta saper cercare. La realtà diventa un testo palese che può essere letto da chiunque. In questo modo, però, ciò che viene meno è la possibilità per l’uomo di costruirsi un immaginario. Se tutto può essere saputo, cosa possiamo immaginare ancora? Se tutto può essere analizzato e compreso, come potremo immaginare ancora un mondo diverso, una utopia per cui combattere?

Forse, più che nel nascondimento della realtà, il fenomeno delle fake-news potrebbe anche essere letto come la reazione immediata dell’uomo al restringimento sempre più deciso del suo immaginario di fronte allo strapotere di internet. Il fenomeno del complottismo, forse, ne è un esempio palese: se tutto è palese e compreso, abbiamo bisogno di immaginare che dietro di esso ci siano motivazioni e cause nascoste, che ci sia ancora qualcosa di velato da svelare. Laddove la realtà si trasforma in iper-realtà, abbiamo la necessità di immaginare che al di là di ciò che è mostrato, esibito in modo diretto, ci sia qualcosa che non vediamo, ci sia qualcosa ancora da scoprire, qualcosa che non sappiamo e che siamo chiamati a disvelare per ottenere la verità vera del reale. Il complottismo, dunque, quasi come fosse un bisogno antropologico, di desiderare un mondo diverso da quello che ci appare svelato.

Ovviamente, non serve riflettere a lungo per comprendere che la tendenza al complottismo è una reazione mal-adattiva di fronte ad una realtà esperita come svelata, un fenomeno che indirizza nel peggiore dei modi possibili la nostra inevitabile esigenza di immaginare una realtà diversa. Quel che serve, insomma, per contrastare il fenomeno della post-verità è lasciar spazio all’esigenza umana di immaginare e alla tensione dell’uomo verso un fine. Una sorta di “educazione all’immaginazione”, affinché il nostro bisogno antropologico di senso contribuisca ad alimentare la voglia di un futuro diverso, per non perdersi più nei doppifondi, evanescenti, della realtà.

 

Bibliografia

Jean Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996.

Eli Parisier, Il Filtro. Quello che internet ci nasconde, Il Saggiatore, Milano 2012.

Giorgio Tintino, Tra Umano e Postumano. Disintegrazione e riscatto della persona. Dalla questione della tecnica alla tecnica come questione: Disintegrazione e riscatto della tecnica alla tecnica come questione, Franco Angeli, Milano 2015.

 

Autore:

Giorgio Tintino è project leader della Fondazione Lavoroperlapersona e Dottore di Ricerca in Filosofia e Teoria delle Scienze Umane presso l’Università degli Studi di Macerata

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